Pena ridotta a Rendina, il terremotato irriducibile che non voleva lasciare Pescara del Tronto

Pena ridotta a Rendina, il terremotato che non voleva lasciare Pescara del Tronto
Pena ridotta a Rendina, il terremotato che non voleva lasciare Pescara del Tronto
di Luigi Miozzi
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Mercoledì 19 Aprile 2023, 08:40 - Ultimo aggiornamento: 12:52

ASCOLI - «Non ci fu nessuna interruzione di pubblico servizio». A sostenerlo sono i giudici della corte d’appello di Ancona che hanno riformato in parte la sentenza di condanna di primo grado per Enzo Rendina, l’ultimo reduce di Pescara del Tronto che era stato arrestato il 30 gennaio del 2017 perché non voleva lasciare la tensostruttura allestita nel campo base dei vigili del fuoco. 


Il rifiuto

Enzo Rendina, che quella tragica notte del 24 agosto del 2016 era stato tra i primi a prestare soccorso ai suoi compaesani finiti sotto le macerie, si era sempre rifiutato di lasciare Pescara del Tronto e neppure le parole del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e quelle di Papa Francesco che nei mesi successivi al sisma lo avevano incontrato, erano riuscite a farlo desistere dai suoi intenti.

Aveva trovato riparo sotto la tensostruttura dei carabinieri ma il 28 dicembre del 2016, l’allora sindaco di Arquata, Aleandro Petrucci, gli fece notificare la diffida a lasciare la tenda dal momento che gli era stato messo a disposizione un alloggio in un albergo di San Benedetto. Secondo la ricostruzione fatta dagli inquirenti, il 30 gennaio del 2017 arrivarono i carabinieri che in un primo momento avrebbero cercato di convincere Rendina ma senza successo. A quel punto, Rendina avrebbe cominciato a sgomitare per cercare di divincolarsi dai sei militari dell’Arma che volevano allontanarlo e pertanto venne arrestato. 

Il simbolo

Colui che era divenuto un simbolo della resistenza e della determinazione a non voler abbandonare la sua terra, dopo un paio di giorni passati in carcere, finì a processo imputato di interruzione di pubblico servizio e resistenza a pubblico ufficiale. Il giudice del tribunale di Ascoli, Matteo Di Battista, lo condannò a cinque mesi di reclusione ritenendolo colpevole di entrambi i capi d’imputazione. Rendina, dal canto suo, aveva continuato a dichiararsi innocente. La svolta è arrivata ieri dai giudici della corte d’appello di Ancona che hanno in parte riformato la sentenza di primo grado facendo cadere le accuse per quanto riguarda il reato di interruzione di pubblico servizio ma condannandolo a quattro mesi di reclusione (pena sospesa e non menzione) per la resistenza a pubblico ufficiale. Il suo difensore, l’avvocato Mauro Gionni, aspetterà che vengano depositate le motivazioni della sentenza di secondo grado ma ha già annunciato la volontà di voler presentare ricorso in Cassazione: «Essendo venuta meno l’accusa di interruzione di pubblico servizio – ha detto il penalista ascolano subito dopo la sentenza -, non ci cono i presupposti per condannarlo per la resistenza a pubblico ufficiale». Non è stata dunque ancora scritta la parola fine su una vicenda giudiziaria in cui è rimasto coinvolto Enzo Rendina che ha sempre manifestato il proprio attaccamento alla sua terra e che oggi, a distanza di oltre sei anni, continua a professarsi innocente e attende fiducioso il pronunciamento dei giudici della Suprema corte che saranno chiamati a valutare il ricorso nei prossimi mesi. 

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