Regole e restrizioni negli ospedali, il dolore di Gabriele: «Per giorni impedita ogni visita. Papà mi è morto tra le braccia»

L'ospedale di Senigallia
L'ospedale di Senigallia
di Sabrina Marinelli
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Martedì 1 Febbraio 2022, 03:55 - Ultimo aggiornamento: 2 Febbraio, 08:41

SENIGALLIA  - Per otto giorni ha atteso invano la visita dei figli poi, quando finalmente uno di loro ha potuto vederlo e stringerlo forte a sé, si è lasciato andare. È morto così Elio Gemignani, tra le braccia del figlio Gabriele. Quasi come se stesse cercando di resistere per non morire da solo. Elio Gemignani aveva 91 anni e aveva fondato un’azienda agricola a Trecastelli. 

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Era stato ricoverato nell’ospedale di Senigallia, nel reparto di Medicina, il 18 gennaio per dei problemi di salute che sono peggiorati fino a determinarne la morte, avvenuta mercoledì scorso.

Il figlio non si dà pace per non essergli potuto stare vicino in quegli otto giorni trascorsi da solo in ospedale. «Si sarà sentito abbandonato – racconta Gabriele Gemignani, molto conosciuto in città essendo il presidente dello Sci Club – è assurdo che dopo due anni dall’inizio della pandemia si debba morire ancora da soli senza il conforto dei familiari. Io e mio fratello abbiamo fatto la terza dose, eravamo disposti anche a fare il tampone pur di poter entrare cinque minuti in reparto ma niente da fare». Le regole sono ancora ferree e il personale, con cui più volte si è scontrato, altro non ha fatto che seguire le disposizioni che gli erano state impartite. 


«Il giorno in cui è morto – racconta – capendo che si era aggravato, me l’hanno fatto vedere. Appena sono entrato ha aperto un po’ gli occhi e l’ho abbracciato. È morto mentre ancora lo stringevo, tra le mie braccia. Sembra quasi che abbia aspettato di vedermi prima di morire. Mio fratello invece non l’ha più visto vivo dopo il ricovero, quando è arrivato era già morto». Ha discusso con il personale Gabriele Gemignani. Non voleva infrangere le regole ma, con tutte le precauzioni del caso, voleva dare conforto al padre che sapeva probabilmente non sarebbe più uscito vivo dal reparto. «Ciò che più mi fa male è il fatto che sicuramente non avrà capito perché non fossimo lì accanto a lui - prosegue - e invece noi eravamo fuori da quella porta, più volte al giorno, ma lui non poteva saperlo. Nessuno vuole infrangere le regole però non togliete la dignità alle persone di morire circondati dall’affetto dei propri cari, capivo all’inizio della pandemia ma adesso no, non lo comprendo più. È solo un’inutile crudeltà per chi muore e per chi deve stare a casa ad aspettare una telefonata». 


I figli erano sempre lì ma molti familiari, sapendo di non poter accedere, non si presentano per nulla. «Una mia parente ha visto la madre già morta – conclude - l’hanno chiamata dopo che era deceduta e non l’ha potuta vedere nemmeno pochi minuti come nel mio caso».

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