SENIGALLIA - Per otto giorni ha atteso invano la visita dei figli poi, quando finalmente uno di loro ha potuto vederlo e stringerlo forte a sé, si è lasciato andare. È morto così Elio Gemignani, tra le braccia del figlio Gabriele. Quasi come se stesse cercando di resistere per non morire da solo. Elio Gemignani aveva 91 anni e aveva fondato un’azienda agricola a Trecastelli.
Era stato ricoverato nell’ospedale di Senigallia, nel reparto di Medicina, il 18 gennaio per dei problemi di salute che sono peggiorati fino a determinarne la morte, avvenuta mercoledì scorso.
«Il giorno in cui è morto – racconta – capendo che si era aggravato, me l’hanno fatto vedere. Appena sono entrato ha aperto un po’ gli occhi e l’ho abbracciato. È morto mentre ancora lo stringevo, tra le mie braccia. Sembra quasi che abbia aspettato di vedermi prima di morire. Mio fratello invece non l’ha più visto vivo dopo il ricovero, quando è arrivato era già morto». Ha discusso con il personale Gabriele Gemignani. Non voleva infrangere le regole ma, con tutte le precauzioni del caso, voleva dare conforto al padre che sapeva probabilmente non sarebbe più uscito vivo dal reparto. «Ciò che più mi fa male è il fatto che sicuramente non avrà capito perché non fossimo lì accanto a lui - prosegue - e invece noi eravamo fuori da quella porta, più volte al giorno, ma lui non poteva saperlo. Nessuno vuole infrangere le regole però non togliete la dignità alle persone di morire circondati dall’affetto dei propri cari, capivo all’inizio della pandemia ma adesso no, non lo comprendo più. È solo un’inutile crudeltà per chi muore e per chi deve stare a casa ad aspettare una telefonata».
I figli erano sempre lì ma molti familiari, sapendo di non poter accedere, non si presentano per nulla. «Una mia parente ha visto la madre già morta – conclude - l’hanno chiamata dopo che era deceduta e non l’ha potuta vedere nemmeno pochi minuti come nel mio caso».