Cupramontana, strangolò il figlio
di 5 anni: nuova perizia sul papà-killer

Cupramontana, strangolò il figlio di 5 anni: nuova perizia sul papà-killer
di Federica Serfilippi
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Giovedì 27 Giugno 2019, 07:05
CUPRAMONTANA - Una nuova perizia psichiatrica per valutare la capacità di intendere e di volere di Besart Imeri, il 27enne macedone accusato di aver ucciso il figlioletto Hamid di 5 anni il pomeriggio del 4 gennaio 2018, a Cupramontana. In primo grado, l’operaio è stato condannato a 12 anni di reclusione, considerando il rito abbreviato scelto dal difensore Raffaele Sebastianelli. Il gup Francesca De Palma, nella sentenza dello scorso ottobre, aveva riconosciuto la seminfermità mentale dell’imputato, decretata dalla psichiatra Francesca Bozzi, ctu nominato dal giudice. 
 
I risultati della perizia del consulente cozzavano con quelli estrapolati dal perito della difesa, lo psichiatra Massimo Melchiorre, che avevano ravvisato un totale vizio di mente nel macedone, affetto da una psicosi grave al momento dell’omicidio. Stando allo specialista, l’uomo era caduto in uno stato di trance emotiva che il giorno della tragedia gli aveva fatto vivere una blackout totale, spingendolo verso il baratro del delitto. «Una forza si è impossessata di me, dicendomi di uccidere mio figlio», aveva detto Besart al gip, durante l’interrogatorio che si era tenuto dopo l’arresto e il trasferimento nel carcere di Montacuto. La necessità di un’ulteriore perizia è stata stabilita ieri mattina dai giudici della Corte di Appello. A proporla è stato l’avvocato difensore Sebastianelli, proprio sulle base degli aspetti fatti emergere dal dottor Melchiorre. A scandagliare la mente del macedone sarà questa volta il professore bolognese Renato Ariatti. L’incarico gli verrà conferito in aula il 16 luglio. Il pomeriggio del 4 gennaio, il 27enne macedone –tuttora in carcere- aveva strappato alla vita Hamid tappandogli la bocca e mettendogli una mano sul naso mentre si trovava sul sedile posteriore di una Toyota Yaris verde, posteggiata a pochi metri dall’ingresso di casa, dove il piccolo viveva con i genitori, gli zii e il nonno paterno. Era uscito per accompagnare il papà a comprare le sigarette al tabacchi. L’auto non era stata neanche messa in moto. Hamid era morto in pochissimi istanti. In quel periodo, Besart era alle prese con la perdita del lavoro e una forte depressione, tanto che aveva deciso di farsi visitare sporadicamente dagli specialisti del Dipartimento di Salute Mentale dell’ospedale di Jesi. 
 
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