Uccise i suoi genitori con il fidanzato
potrà vivere nella casa in eredità

Uccise i suoi genitori con il fidanzato potrà vivere nella casa in eredità
di Federica Serfilippi
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Sabato 10 Novembre 2018, 03:50 - Ultimo aggiornamento: 18:05
ANCONA - Quando uscirà di prigione, la figlia dei coniugi trucidati da Antonio Tagliata avrà diritto, in quanto erede diretta delle vittime, a rimettere piede nell’appartamento che il 7 novembre 2015 era stato lo scenario omicida che aveva strappato alla vita Roberta Pierini e Fabio Giacconi. A poco più di tre anni da quella mattanza, avvenuta attraverso una raffica di proiettili esplosi da una Beretta impugnata dal 21enne Tagliata, l’abitazione all’ultimo piano di via Crivelli 9 è stato dissequestrato per volontà del giudice. C’è voluto un iter giudiziario complesso, con tanto di ricorso in Cassazione, per far ottenere l’appartamento all’unica figlia delle vittime: Martina Giacconi, condannata in via definitiva a 16 anni di reclusione per concorso in omicidio volontario aggravato e dal 2015 reclusa nel carcere minorile di Nisida, Napoli. Intanto il suo ex, condannato a 20 anni in appello, ha rinunciato alla Cassazione, come spiega il suo avvocato Manfredo Fiormonti: «è stata una decisione di Antonio».
  
Martina all’epoca del delitto aveva solo 15 anni e figurava come fidanzatina del killer, nonché come istigatrice del delitto stando alla magistratura. Ma nonostante ciò sarà la nuova legittima proprietaria della casa dell’orrore, chiusa dall’epoca della strage. Di fatto, l’immobile le spetta, essendo erede dei suoi genitori. Ma il passaggio per farsi vedere riconosciuto l’appartamento è stato tutt’altro che facile. All’origine della questione c’è stata una potenziale controversia tra Martina, ormai 18enne, e i parenti dei Giacconi. A gettare le fondamenta di una possibile diatriba era stata Francesca Giaquinto, giudice minorile che aveva presieduto il processo di primo grado per la ragazza.
 
Nella sentenza aveva sostenuto l’impossibilità di un dissequestro dell’abitazione a causa di un’ipotetica azione di indegnità avanzata dai familiari delle vittime nei confronti di Martina. In pratica, avrebbero potuto estromettere la figlia dei Giacconi dall’eredità, giudicandola indegna. L’azione per renderla erede illegittima non è però mai stata nei piani dei familiari che hanno sempre respinto l’ipotesi accusatoria iniziale, ovvero che Martina fosse stata l’istigatrice della mattanza messa materialmente in scena da Antonio, condannato sia in primo che in secondo grado a vent’anni di reclusione.
Per chiedere il dissequestro, l’avvocato Paolo Sfrappini, difensore della 18enne, ha aspettato per Martina la pronuncia della Cassazione, avvenuta nel novembre 2017. Con la conferma della condanna, è stata inoltrata al giudice minorile l’istanza per l’ottenimento della casa. Respinta. Con la stessa motivazione espressa all’inizio, legata a un’eventuale azione di indegnità. A quel punto, c’è stato il ricorso in Cassazione. Non prima della firma, da parte dei parenti dei Giacconi, di un documento dove veniva dichiarata la rinuncia a qualsiasi rivalsa per poter possedere l’ultimo piano di via Crivelli 9. I giudici della Corte Suprema hanno preso atto di tale rinuncia, rimandando la decisione finale al giudice minorile.
 
Pochi giorni fa, in concomitanza del terzo anniversario del duplice omicidio, la notifica del dissequestro dell’appartamento al difensore. Ma non è finita qui. In corso, anche se dal giudice civile, c’è un altro procedimento. È quello che riguarda il Tfr di Roberta, all’epoca impiegata ai Monopoli di Stato, e Fabio, maresciallo dell’Aeronautica Militare. I soldi spetterebbero a Martina, ma gli ex datori di lavoro delle vittime non avrebbero mai aperto i rubinetti, sostenendo l’indegnità della 18enne e innescando una nuova causa in tribunale. La pensione di reversibilità dei genitori, invece, non spetta a Martina. La legge, di fronte a reati gravi commessi da parenti di defunti, non prevede l’erogazione dei trattamenti pensionistici. Stando alla difesa, il Tfr non farebbe parte del “pacchetto pensione”. Di qui, la causa intentata con gli enti che avrebbero dovuto erogare la liquidazione dei Giacconi.
 
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