Il regista Gianluca Barbadori: «Quando mi dissero: gioca. E in scena la cosa funzionò»

Il regista Gianluca Barbadori: «Quando mi dissero: gioca. E in scena la cosa funzionò»
Il regista Gianluca Barbadori: «Quando mi dissero: gioca. E in scena la cosa funzionò»
di Lucilla Niccolini
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Domenica 10 Marzo 2024, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 11 Marzo, 09:01

Cittadino del mondo, fin dalla nascita. Gianluca Barbadori è nato ad Ancona, nel ‘67, concepito in Somalia. «Mio padre Attilio, dirigente dell’Eni, ha lavorato in Africa in diversi Paesi, a inizio carriera. Hanno deciso di farmi nascere ad Ancona.» Figli del Cònero, i suoi genitori: Attilio è di Numana, Rosalba di Sirolo. «Il primo viaggio in aereo l’ho fatto a tre mesi, quando mia madre, dopo avermi partorito, è tornata in Somalia». Da allora, molti altri voli. «Poco dopo ci siamo trasferiti in Uganda, dov'è nato mio fratello; poi in Austria, dove ho frequentato la primina nella scuola francese. E infine, in Grecia, dove siamo rimasti per circa sei anni».

Le vacanze

Quando Attilio fa carriera, la famiglia cambia continente: l’America. «Argentina, a Buenos Aires». Qui Gianluca, che già parlava, oltre all'italiano, l'inglese e il greco, impara lo spagnolo. Vacanze estive sempre a Numana, dai nonni. «Mio zio Luciano lavorava al circolo del tennis di Pietralacroce. Mio fratello e io abbiamo imparato a giocare, guardando i campioncini locali mentre raccattavamo palle a bordo campo. Mi sono sentito sempre a casa, quando siamo tornati in Italia». Fu nel 1981: terminata, a ottobre, la terza media a Buenos Aires, a novembre si iscrisse allo Scientifico Savoia. Un lunghissimo doppio anno scolastico, fino all'estate successiva. Subito dopo riprende la strada verso il mondo: San Paolo del Brasile, dove il padre ha lavorato fino all’84. E impara il portoghese. Quando i Barbadori tornano definitivamente in Italia, vanno a stare nella casa del nonno paterno di Numana.

L’esordio

Gianluca ritrova i compagni di scuola del Savoia. «Non ero uno da media dell’8, ma l'ho sfangata. Poi, mi sono iscritto a Economia, perché papà progettava di aprire con me, dopo la pensione, un’azienda di consulenza. Ma non ho finito gli studi». L’amico dj Luca Taglioni lo introduce a un corso di teatro del gruppo Recremisi, dai Salesiani. «Un modo per passare il tempo. Timido, incapace, mi vergognavo. Poi, il regista Massimo Duranti, che stava allestendo “Un angelo viene a Babilonia” di Dürrenmatt, mi scelse come protagonista.

Mi disse: in scena, gioca! E la cosa funzionò».

Con Grotowski

È l'87, quando una giornalista lo presenta a Lucio Chiavarelli, l'assistente di Orazio Costa, che gli propone di seguire un corso del grande maestro di teatro, a Firenze. «Un mondo nuovo: imparo a collegare l’immaginazione con il mio corpo». L'anno dopo, entra in una compagnia di giovani attori a Pontedera, e parallelamente inizia a fare formazione al Centro per la Ricerca e la Sperimentazione Teatrale. «Ma solo quando fui scritturato, nell'estate dell'88, per la “Turandot” diretta da Cobelli, a Torre del Lago Puccini, mi decisi a dire a miei che non sarei riuscito a laurearmi: la mia vita era il teatro». La madre si spaventa, il padre gli raccomanda di capire se è proprio quello, il suo mestiere. «Mi disse: meglio un idraulico che lo fa per passione, che un avvocato che lo fa per soldi». Alla scuola di Pontedera Gianluca deve la sua formazione. Conosce Jerzy Grotowski, che aveva aperto il Workcenter, poco lontano, a Le Vallicelle, con Thomas Richards. «Gli avevano dato due anni di vita, ne visse tredici. Nel '92 fui tra i pochissimi giovani selezionati per proseguire la sua ricerca antropologica. Una sera, a cena, mi disse: questo è il tuo lavoro. Fu il mio battesimo».

I corsi

Il viatico del leggendario maestro lo induce a mettere in gioco quello che ha imparato, insegnandolo a sua volta. Apre corsi a Calcinaia, in Toscana, poi a Numana. E al Poggio, sollecitato e sostenuto dall'indimenticabile amico Maurizio Fiorini, nella parrocchia di don Dino, e al liceo Galilei, coinvolgendo tanti registi e attori locali. Ma il mondo, che aveva girato da piccolo, ancora lo chiamava. Si apre un nuovo capitolo, in Argentina nel ‘96: con la Federazione dei Marchigiani crea l'iniziativa “Un ponte, due culture”, un festival bilaterale tra Marche e Argentina. Continua a lavorare in Italia, ma anche all'estero: non c'è continente in cui non abbia portato la pedagogia teatrale, che coinvolge professionisti, studenti e anziani, adolescenti, portatori di handicap, e migranti. Con loro, ad Ancona, ha fondato Teatropolis. È un cittadino del teatro del mondo.

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