«Ciao Palì, simbolo di anconetanità». Slogan, lacrime e applausi a Torrette per l'ultimo saluto ad una delle persone più amate della città

«Ciao Palì, simbolo di anconetanità». Slogan, lacrime e applausi a Torrette per l'ultimo saluto ad una delle persone piiù amate della città
«Ciao Palì, simbolo di anconetanità». Slogan, lacrime e applausi a Torrette per l'ultimo saluto ad una delle persone piiù amate della città
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Domenica 12 Dicembre 2021, 09:20

ANCONA -  I luoghi della memoria incrociano gli spazi dell’amore. Nel punto esatto dove il grande mondo di Giampaolo Giampaoli s’incontra per salutarlo ancora. L’ultima volta. «Ciao Palì, simbolo di anconetanità. La tua Torrette ti rende onore».

La scritta rossa sul campo bianco d’uno striscione, teso sullo slargo che si apre di fronte a Maria Santissima Madre di Dio, è lì ad accoglierlo. Sono le 15. La bara chiara dell’amico di tutti passa attraverso una barriera di lacrime e silenzi densi e dell’incontenibile applauso. «Ciao Palì». L’imprenditore delle dolcezze, uscito dalla scena dell’esistenza la notte scorsa a 80 anni, ribadisce il copione d’una vita: mettere insieme sport, industria e istituzioni. Unire. 


Non una parola sarebbe più adatta. «Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto». Il vangelo secondo Giovanni pare la metafora di questo addio che lascia un pieno di vita. «Molto frutto». Tocca a don Bruno Burattini, ex parroco di Torrette e amico di Giampaoli, ad accompagnare lungo le inevitabili vie del dolore. «Giampaolo - ricorda - aveva un problema, che poi ha risolto realizzandolo nella sua vita: voleva dare futuro a quella che era una piccola ma già conosciuta azienda». Asseconda l’emozione: «Faceva tanti progetti, “bisognerebbe fare….”, io ero nella stessa posizione con la parrocchia di Torrette, quindi gli dissi che forse ci conveniva diventare amici». E così è stato: «Lo siamo diventati, davvero».

S’interrompe commosso: «Scusate, io parlo con il cuore, sono un prete di montagna». È tornato da Sappanico in quella che fu la sua prima chiesa - «Torrette è la mia sposa» l’aura della memoria ormai lo avvolge - proprio per lui.

Per Palì. I ricordi di scherzi e felicità sono il preludio alle parole per il figlio Gabriele, che è accanto alla cugina Gioia. Lo cerca con gli occhi: «Prendi le redini dell’azienda per la tua parte, mettici la convinzione, la stessa che aveva tuo padre nel dare lavoro a tante famiglie e rendere molte persone felici». Come il chicco di grano che produce molto frutto. Amico. Torna come una preghiera, santa e laica, anche nelle parole di Maria Paola Merloni, figlia dell’indimenticabile capitano d’industria Vittorio. «Quando morì papà fu il primo ad arrivare. Erano molto legati».

E ora tocca a lei, stretta nel suo cappotto grigio fumo, a ricordarli. Insieme. In fondo alla chiesa, a pianta circolare, su una sedia oltre le file dei banchi siede il sindaco Valeria Mancinelli. Poco più avanti si scorgono l’ex primo cittadino Fabio Sturani, gli avvocati Maurizio Boscarato e Michele Brunetti. Uno affianco all’altro si riconoscono i presidenti di Confindustria Claudio Schiavoni e Pierluigi Bocchini e lo storico direttore Marco Ricottini. La passione comune del fare azienda si legge nei volti del leader della Camera di Commercio Gino Sabatini, dell’imprenditore Alessandro Marabini e di Aldo Roscioni, che rimanda ai giorni del mitico Fortino Napoleonico. 


Baluardo dell’Anconitana degli anni Sessanta, incontenibile Palì. Oltre le mascherine imposte dal Covid si riconoscono molti ex calciatori dorici, tra cui Sauro Bonetti, Roberto Cannarozzo e Leonardo Gambini. Roberta Nocelli, presidente dell’Ancona-Matelica, e quello dei Club Uniti Biancorossi, Eros Giardini, appoggiano sulla bara una maglia dorica, che dopo il figlio stringe forte a sé. Sotto il cuscino di rose della moglie Teresa è adagiata una sciarpa che recita, come fosse un’altra preghiera, Ancona civitas fidei. Per sempre in campo. Ciao Palì.

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