All'Adriatic Arena arrivano i Pooh
Stefano D'Orazio: «Emozionante»

La locandina dei Pooh
La locandina dei Pooh
di Stefano Fabrizi
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Martedì 8 Novembre 2016, 12:06
PESARO - Adriatic Arena verso il sold out: il 9 novembre  la struttura pesarese ospita una data del trionfale tour dei Pooh. Sicuramente un evento: la band dopo 50 anni di musica insieme il 30 dicembre chiuderà per sempre questa esperienza. Ne parliamo con Stefano D’Orazio.

Nozze d’oro. Siete il complesso più longevo della musica non solo italiana.
«Sicuramente. Mi vengono in mente a casa nostra i Nomadi, all’estero i Rolling Stones».

Ma è più facile una convivenza con una compagna o con un gruppo?
«Decisamente con una compagna. Il nostro è una matrimonio a 4 senza sesso». 

La ricetta? Magari può essere utile per la vita di coppia!
«Credo che l’alchimia che ci ha tenuto insieme sia stata la passione per la musica come cemento e poi la diversità. Ognuno di noi non solo proviene da regioni diverse ma anche da esperienze personali e sociali differenti. Una eterogeneità che aiuta. Inoltre, nel gruppo nessuno ha mai prevaricato: ognuno si è ritagliato uno spazio dove riusciva meglio». 

Gelosie?
«Solo per le cose ben riuscite, della serie: caspita questa idea mi sarebbe piaciuta averla io». 

Apriamo il cassetto delle foto. Cosa trova in primo piano?
«Gli esordi. I primi successi e la voglia di conoscere e provare». 

Un anno da incorniciare?
«Il 1976. È nato il marchio Pooh. La nostra avventura si è concretizzata non solo con la musica ma anche con la produzione dei dischi e dei tour. È l’anno di Poohlover. Un album che parla di emarginazione ed emarginati con canzoni come Pierre che a quel tempo fu censurata». 

Ritorniamo alla longevità.
«Penso alla gavetta. Tanta. Ci siamo fatti l’Italia in lungo e in largo. Era il periodo delle balere. Mi ricordo che in un locale di Pesaro ci siamo presentati con tutta la nostra attrezzatura e visto l’esiguità del palco ci siamo lamentati con il gestore che ci ha risposto: qua si è esibita l’orchestra Casadei, sono in 12. Voi in quattro e non c’entrate? Oppure l’impresario pugliese che ci ha redarguito: state distruggendo il mercato, qua vengono con una chitarra e un jack da infilare nelle casse e voi portate tutta sta roba…».

Dunque?
«Dunque, è la curiosità, la voglia di sperimentare che ci ha unito e ci ha permesso di raggiungere questo traguardo. Siamo passati dal pop, al beat e al rock sotto diverse declinazioni compreso il sinfonico. Siamo stati i primi a portare in Italia laser e fumi. A creare i mega concerti con scenografie importanti. Inoltre, abbiamo lavorato sempre a ciclo continuo: d’estate i tour e d’inverno la sala d’incisione». 

Dicevamo del marchio Pooh. Anche musicalmente.
«Non siamo mai stati dietro alle mode. A volte semmai le abbiamo anticipate. Mi ricordo che venuti a conoscenza di un ingegnere che aveva costruito il primo sintetizzatore elettronico siamo andati a trovarlo. Era Robert Moog. Ci ha dato un prototipo e lo abbiamo fatto uscire dall’Inghilterra dicendo che era una Farfisa. Con quello strumento abbiamo fatto l’attacco di Noi due nel mondo e nell’anima. Una nostra mania è il suono. Spendevamo cifre importanti per casse e amplificazioni d’avanguardia. All’epoca il gruppo o il cantante si presentava solo sul palco mentre noi arrivavamo con una scenografia che viaggiava sui tir. E con il successo siamo passati dalle balere, a teatri, palazzetti e stadi. E alla longevità». 

Le Marche. Un rapporto privilegiato per lei e Battaglia.
«Direi un po’ con tutti. Oltre ai concerti, abbiamo molti amici che ci frequentano da sempre. Inoltre Dody Battaglia ha un rapporto particolare con la Eko di Recanati, mentre io ho soggiornato a lungo a Tolentino per costruire assieme a Saverio Marconi il musical Pinocchio. Esperienza ripetuta con Cercasi Cenerentola». 

Per questa reunion i Pooh si fanno in cinque.
«È la novità più bella. E trovare sulla stesso palco Riccardo Fogli e Red Canzian che ha preso il suo posto quando ha scelto la carriera solista è un’emozione anche per noi. Inoltre, io ero titubante nel fare questa esperienza, ora ne sono contentissimo». 

Un ricordo di Valerio Negrini.
«Il migliore. Quando gli proponevamo le nostre idee la prima battuta era «è una cazzata». È stato il nostro denigratore artistico che ci ha aiutato a crescere». 

Importante?
«Di solito quando un artista fa successo gli si forma attorno una specie di corte dei miracoli che lo osanna senza mai criticarlo: è l’inizio del declinio».

La scaletta di Pesaro.
«Non posso dire il meglio dei Pooh, perché per noi tutte le nostre canzoni sono belle, ma sicuramente ci sarà modo di cantarle insieme. D’altronde è questo che cerchiamo: il contatto con il pubblico, emozionare ed emozionarci.

E poi?
«Il 30 si chiude i battenti, e lo facciamo con i riflettori ancora accesi». 
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