«Che bello ritrovare Goldoni». Lavia e Di Martino oggi e domani a Fermo e da venerdì a domenica a Fano con Un curioso accidente

Lavia e Di Martino a Fermo e Fano con Un curioso accidente
Lavia e Di Martino a Fermo e Fano con Un curioso accidente
di Chiara Morini
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Martedì 27 Febbraio 2024, 02:00 - Ultimo aggiornamento: 12:27

É una delle commedie goldoniane meno rappresentate in Italia, ma molto all’estero: “Un curioso accidente”, con la regia di Gabriele Lavia sul palco con Federica Di Martino, andrà in scena alle 21 di oggi e domani, martedì e mercoledì, al Teatro dell’Aquila di Fermo (info: 0734284295). Tornerà poi al Teatro della Fortuna di Fano (info 0721800750) venerdì e sabato alle ore 21 e domenica alle 17.

Gabriele Lavia, come mai ha scelto questa commedia di Goldoni?

«Non la fa nessuno, non so il perché, eppure è una grande commedia. Devo dire che è stato piacevole farla, perché ho ritrovato Goldoni; sa che noia se avessi fatto la solita “Locandiera”, o altre più rappresentate? Si svolge in Olanda, con uno strano incontro tra la personalità femminile e il periodo storico dell’illuminismo. La protagonista prende coscienza della sua figura e credo proprio che in Italia allora non poteva essere rappresentata». 

Si sente, le piace molto…

«É bellissima e notevole non solo per l’intreccio comico, di cui Goldoni conosce alla perfezione le relative tecniche. Ecco qui Goldoni è stato proprio geniale. Voltaire, con il quale aveva una grande amicizia, lo chiamava il primo illuminista della storia, poi veniva lui, Voltaire».

Qui, Goldoni, provoca quasi un riso amaro?

«La comicità era la sua filosofia, con cui raccontava cose terrificanti (si vedano i “Rusteghi”), lui era così, era proprio questo».

A un certo punto c’è una frase in cui si dice che “il mondo è finito”. Sembra fatta per l’oggi…

«Lo dico io, cioè lo dice il mio personaggio.

Il pubblico riceve l’esclamazione, perché la battuta la faccio in fondo a una passerella che sta quasi tra il pubblico, alla fine della sala, ma non è che si rende conto, però, che siamo in un momento storico nel quale non pensavamo di poterci trovare di nuovo. Invece per colpa di alcuni uomini il mondo è dove è ora».

Cos’è per lei il teatro?

«Passione, lavoro, demone, maledizione, si soffre. Non riesci mai a fare come vorresti, una battuta può venire meno bene di come pensavi, le tournée non sono come si vorrebbero, i teatri sono più o meno belli, piccoli o grandi. Ma il teatro dà molto, purché ci siano registi e attori che abbiano voglia davvero di farlo. E non è detto che quello vero piace di più di quello falso, altrimenti (anche in tv) non si vedrebbero certe cose».

Lei ha lavorato con tanti registi, ma qual è quello che, soprattutto agli inizi, le ha dato di più?

«Sono due. Orazio Costa e Giorgio Strehler, i due più grandi. Cosa mi hanno dato? Semplice, tutto! Devo tutto a loro, ho avuto la fortuna di incontrarli e avevo con loro un rapporto speciale, loro mi stimavano».

Il teatro sembra in crisi, può sopravvivere?

«Il teatro non morirà mai. Esiste da migliaia di anni. Le prime testimonianze risalgono al IV-V secolo, ma il teatro non è quello delle grandi strutture architettoniche in marmo. C’era anche prima, con gente attorno al fuoco, magari seduta per terra o su legno. Si raccontavano e si ascoltavano storie».

Il teatro non morirà ma il pubblico ci sarà sempre?

«Sarà sempre di più a teatro, è il cinema a essere morto. E dire che prima ai miei tempi io ci andavo quando saltavo la scuola».

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