​Alla Galleria Puccini di Ancona
la mostra dello jesino Carlo Cecchi

​Alla Galleria Puccini di Ancona la mostra dello jesino Carlo Cecchi
di Lucilla Niccolini
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Mercoledì 20 Maggio 2015, 20:04 - Ultimo aggiornamento: 20:56
ANCONA - ​Alla Galleria Puccini di Ancona la mostra dello jesino Carlo Cecchi. Una contadina che raccoglie una stella da terra è la protagonista di un'intera parete della seconda stanza di “Chiaroscurochiaro”, la mostra che la Galleria Puccini dedica a Carlo Cecchi fino al 31 maggio. Il piccolo quadro è dedicato a Malevich e alla sua Donna che taglia l'erba. “Mi sembrava un bell'omaggio a questo pittore, posto di fronte a Il mare di Gino”, - dice Cecchi - ovvero al ritratto di Gino De Dominicis”. Sono queste le due uniche tele di una mostra composta di grandi carte stirate e stratificate su cui il pittore jesino ha rappresentato il suo universo immaginario, da Lorenzo Lotto ai suoi conigli, ricordo di un'infanzia trascorsa in campagna presso la nonna, al leone scolpito di “Ninive”, cui manca la testa, perché l'arte nel Medio Oriente è minacciata così perentoriamente dall'Isis.



E Carlo Cecchi, anche quando si guarda dentro, non riesce a staccare la spina dall'energia elettrica che gli fornisce il presente. Poi, certo, la sua arte vive anche di nostalgie e trasporti verso una realtà mentale: il formichiere adombrato da un nuvolone in “Nuvolari”, o la ragazza con cappello che guarda, di spalle, un orizzonte inesistente, mentre un coniglio celeste le pascola sul fianco in “Senza freni”. Le metafore, si sa, sono da sempre una passione di Cecchi: dal corpo giallo limone di “Dopo testa”, al corpo disteso di “Tappeto volante”.



Ma il vero corpo-a-corpo - scusate il gioco di parole di Cecchi - è con il bianco della carta, o della tela, che satura oltre il limite inchiodato sul telaio, o viceversa lascia intoccato, abbacinante, se non per pochi, magistrali tocchi di colore. Il celeste slavato, il giallo pungente, il nero striato: e l'inchiostro acquarellato scola dai piedi e dalle mani della ragazza; il pastello a cera traccia la figura che indica il trascolorare dei monti azzurri (“La donna del lotto di là”); il colore acrilico abbruna il cielo sui monti alle spalle del coniglio giallo di “Provenzale”. Perciò, se titolo poteva avere questa mostra, nessuno più giusto di “Chiaroscurochiaro”, nella pendolarità instancabile del pittore dal chiarore naturale intoccabile del supporto, all'affondo del suo colore, o del nero, cui solo le rughe della carta stirata sanno strappare trasparenze di speranza.
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