Festival di Sanremo amarcord. Il poeta: «Con "Volare" si rimorchiava». Francesca Merloni: «Che emozione il nome Ariston»

Amadeus, direttore artistico e conduttore di Sanremo 2021
Amadeus, direttore artistico e conduttore di Sanremo 2021
di Elisabetta Marsigli e Chiara Morini
7 Minuti di Lettura
Martedì 2 Marzo 2021, 10:07 - Ultimo aggiornamento: 10:20

ANCONA - «Oggi Sanremo sembra un commento di Sanremo: si ascoltano le canzoni e poi il giorno dopo tanta polemica. La mia generazione, forse, è stata l’ultima che ha detto qualcosa sulla canzone italiana, e si scoprivano i nomi. Oggi sono i nomi che devono andare al Festival. Prima era un vero rito familiare in tv guardarlo, ma oggi non lo fa quasi più nessuno». Così Lucrezia Ercoli, classe 1988, direttrice artistica di Popsophia, descrive il Festival di Sanremo che inizia stasera.

Due sono i suoi ricordi. Uno diretto, legato agli anni ’90, a Laura Pausini e “La solitudine”, a Paola e Chiara, «quelle storie e canzoni che vedevi la sera e poi il giorno dopo ne parlavi con i compagni di classe. Ma era diverso, c’era una Tv generalista», dice. Anche se Vasco Rossi ha cantato “Vita Spericolata” a Sanremo, nel 1983, quando lei non era ancora nata, di questo brano «ho conosciuto l’artista. Mi piace il brano, grazie alle immagini di repertorio su You Tube».


Il poeta
Se c’è una canzone invece che è rimasta nel cuore del poeta urbinate Umberto Piersanti è “Volare”, “Nel blu dipinto di blu” dell’indimenticabile Modugno: «L’anno in cui ha vinto Volare (1958) io ero a ballare a Mercatello sul Metauro, nel teatrino adibito a sala da ballo. Verso mezzanotte, quando il gruppo che si esibiva fece una pausa, mettendosi a mangiare i cappelletti sul palco, io mi ritrovai a ballare sulle note di Modugno, con una ragazza di Pesaro, con l’intento di rimorchiarla. Volare mi incoraggiava, era il tempo in cui si provava con le ragazze attraverso i balli lenti e, da come ti mettevano le braccia intorno al collo, capivi subito come sarebbe finita.

Ma non andò bene quella sera, purtroppo. Abbiamo perso il sapore di quelle atmosfere al profumo di cappelletti e veglioni: per me il ricordo del festival è legato a quelle feste paesane. C’è ancora qualcuno che definisce poeti i cantautori: la canzone è certo una forma d’arte, ma la poesia ha la sua musica nelle parole e non ha certo bisogno di “altra” musica».


L’affetto
«È impossibile non voler bene a Sanremo: comunque la si pensi fa parte del nostro costume, sia per chi lo odia che per chi lo ama. - racconta la poetessa e organizzatrice culturale Francesca Merloni - Ma quando ero piccola, c’era una cosa che me lo faceva sentire di casa: il fatto che si svolgesse al teatro “Ariston”. Mi stupiva tantissimo ed era divertente che questo teatro si chiamasse proprio Ariston, ne andavo fiera!». Sulle canzoni del cuore non ha dubbi «”Perdere l’amore” è quella che ho amato di più, ma se devo ricordare l’edizione che più mi ha colpito è sicuramente quella dell’anno scorso, per due motivi: appena ho sentito Diodato ho capito subito che avrebbe vinto. Dopo quella di Ranieri, “Fai rumore” è un’altra canzone che amerò per sempre. L’altro motivo è stato vedere Fasma sul palco: sono molto amica di tutta la sua famiglia e ho vissuto tutta l’emozione della sua esibizione, della sua vittoria. È una persona vera e sincera e quest’anno faccio ancora il tifo per lui». 


I cantanti
“Perdere l’amore” è intrecciata anche con i ricordi del baritono Nicola Alaimo: fu la “canzone galeotta” che diede il la alla sua carriera. Da sempre la sua famiglia seguiva il Festival, ma quello era il primo anno senza il papà, scomparso qualche mese prima «Quando mamma ascoltò quella canzone, proruppe in un pianto disperato, ma totalmente silenzioso: io la guardavo e a 9 anni già mi resi conto del vuoto che papà aveva lasciato e di come quella canzone toccasse i nostri cuori, con la forza di una valanga. La imparai a memoria e cominciai a canticchiarla: fu così che mamma notò che la mia voce era naturalmente impostata, come se già l’opera mi chiamasse a sé. Da lì partì tutto». «Vivendo nel mondo della musica, il Festival mi incuriosisce ogni volta, anche se non sempre, soprattutto nelle ultime edizioni, i finalisti si avvicinano ai miei gusti. - commenta il cantante e cantautore Giacomo Medici - Rischiando di sembrare piuttosto “vintage”, sono molto legato alla canzone che vinse proprio la prima edizione di Sanremo, “Grazie dei fior”: ne adoro il testo, la melodia, l’arrangiamento e la perfezione con cui Nilla Pizzi cantava in quel momento della sua carriera».

Il cliché 
Nilla Pizzi è nel cuore anche di Gianfranco Mariotti, l’ideatore del Rof: «Ho un ricordo molto affettuoso dei primi anni del Festival: da “Grazie dei fior” fino a “Volare”. Altri bei ricordi sono legati a Mina o Dalla, ma in seguito l’ho perso un po’ di vista, perché le canzoni hanno iniziato a seguire un cliché intollerabile». Massimo Zenobi, direttore del Politeama di Tolentino, ha vissuto il Festival di Sanremo. «Erano gli anni di Baudo – racconta –in Tv ci va meno del 20% del Festival. La canzone più vicina a me, tra le recenti, è quella di Tosca dell’anno scorso. Ma ricordo anche “Uomini soli” dei Pooh e Ranieri, con “Perdere l’amore”». «È come la nostra Notte degli Oscar, promuoviamo il brand Italia – dice Mauro Mazziero presidente del Mugellini Festival – Ricordo la partecipazione del Maestro Bosso e per questo mi complimento con Fazio per averlo fatto conoscere. Critico Fazio per non aver controllato a dovere Luciana Littizzetto». Il fisarmonicista Roberto Lucanero, fin da bambino guarda il Festival: «Negli ultimi anni ho allentato un po’, ma un ricordo indelebile è sicuramente l’anno in cui i cantanti stranieri affiancavano i nostri (1990) e Ray Charles fu chiamato a interpretare la canzone di Cutugno. Altri bei ricordi sono quelli di Mario Castelnuovo, con “Sette fili di canapa”, in una edizione bellissima con Vasco e Zucchero».

Il flash
«I primi flash che ricordo risalgono a quando avevo 7 o 8 anni» commenta il sovrintendente dello Sferisterio di Macerata, Luciano Messi. Era il 1978, Rino Gaetano cantava “Gianna” e Messi ricorda «l’artista si è presentato fuori dagli schemi: in frac e con quelle che oggi diremmo sneakers». Cita “Vado al Massimo” di Vasco, nel 1982: «Mise il microfono in tasca, poi si avvicinò alle quinte e il microfono cadde facendo un gran caos. Cito anche “Salirò” di Daniele Silvestri, nel 2002, ho ricordi con le mie figlie». Messi allo Sferisterio ha ospitato diversi artisti che hanno calcato il palco dell’Ariston: «Bello che si apra ad altre realtà, ma il momento peggiore che ricordo è l’edizione del 2004, quando fu battuto dal Grande Fratello». La “Vita spericolata” di Vasco piace molto anche a Piero Massimo Macchini che, pur non essendo un grande fan di Sanremo, oltre a Vasco, cita Mia Martini con “Almeno tu nell’Universo”, visti sul web. Ricorda «l’anno 1996 e “La terra dei cachi” di Elio e le Storie Tese». «Quella canzone mi piacque davvero tanto, per lo spirito dissacrante di Elio, e poi ben si adatta alla realtà di oggi» dice Maurizio Serafini, direttore artistico del Montelago Celtic Festival. Lui ha un altro ricordo legato a Sanremo: nel 2002 ha calcato il palco, suonando la cornamusa accanto «a Valentina Giovagnini. «Era straordinaria e mi piace ricordarla, purtroppo è scomparsa in un incidente stradale anni dopo».

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