Dopo 32 anni si riapre l’inchiesta sull’omicidio di via Poma e si torna a cercare l’assassino di Simonetta Cesaroni, uccisa con 29 coltellate il 7 agosto del 1990, quando aveva 20 anni. La Procura di Roma sta sentendo testimoni per verificare una delle segnalazioni arrivate negli uffici di piazzale Clodio. Tra le persone già ascoltate dal procuratore aggiunto Ilaria Calò c’è l’allora dirigente della Squadra Mobile, Antonio Del Greco, che all’epoca, insieme allo stesso magistrato, coordinava le indagini. Il nuovo fascicolo è partito da un esposto presentato ai pm nel quale viene sottolineato che un sospettato, ascoltato all'inizio dell'inchiesta nel 1990, avrebbe fornito un alibi falso. Questa persone, come riporta il quotidiano Il Foglio, era già finita nel mirino degli inquirenti poco dopo il delitto, ma la sua posizione era stata archiviata. Il suo alibi, a distanza di oltre trent’anni, potrebbe essere smentito da nuovi elementi.
Ma ecco i fatti. Estate 1990, Simonetta Cesaroni non è ancora partita per le vacanze, ma è rimasta a Roma a lavorare: fa la segretaria e la contabile negli uffici dell’Aiag, al civico numero 2 di via Poma, a pochi passi da piazza Mazzini.
Nel corso degli anni sono state seguite diverse piste, con diversi sospettati, tra il 1990 e il 2011: da Pietrino Vanacore - morto suicida nel 2010 - a Volponi, da Federico Valle - il padre aveva uno studio nello stabile - a Raniero Busco, fidanzato della vittima. Busco è stato rinviato a giudizio e processato: nel 2011 è stato condannato in primo grado a 24 anni di reclusione, sentenza ribaltata nel corso dell'appello, che si è chiuso con un’assoluzione confermata dalla Cassazione nel 2014. Per i giudici, gli elementi che in primo grado avevano portato alla condanna erano da considerare solo «congetture». La Cassazione aveva sottolineato che non c’erano certezze sulla «modalità e i tempi» dell’azione omicidiaria e sul «movente». Non è nemmeno sicuro che l’ex fidanzato di Simonetta fosse in via Poma quel giorno, mentre sulla porta d'ingresso della stanza dove si trovava Simonetta e anche sul telefono dell’ufficio era stato trovato Dna «minoritario».
L’avvocato Paolo Loria, difensore di Busco, spera che ora «si arrivi al bandolo di questa matassa e si riesca a trovare il vero colpevole e a liberare dal sospetto, che dura da 30 anni, una serie di personaggi assolutamente innocenti. Sento periodicamente Busco, sta superando lentamente questo trauma».