Pesaro, Carriera condannato per diffamazione, ecco le motivazioni: «Quel video screditava la Polizia»

Pesaro, Carriera condannato per diffamazione: «Quel video screditava la Polizia»
Pesaro, Carriera condannato per diffamazione: «Quel video screditava la Polizia»
di Luigi Benelli
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Domenica 12 Novembre 2023, 04:10 - Ultimo aggiornamento: 11:47

PESARO - Video diffamatorio nei confronti della polizia, sono state depositate le motivazioni della sentenza di condanna. Il caso riguarda il ristoratore Umberto Carriera, leader di #IoApro che era accusato assieme all’allora compagna (e oggi moglie) Clarissa Rosselli di diffamazione con l’aggravante di fatto commesso contro il pubblico ufficiale e diffusione di un video o audio carpito in maniera fraudolenta.

I fatti risalgono al 15 gennaio 2021, quando Carriera aveva aperto il suo ristorante La Grande Bellezza di Mombaroccio, per protesta contro le limitazioni anticovid.

La pubblicazione del video sui social aveva fatto scaturire commenti offensivi nonchè minacce nei confronti del funzionario della Polizia di Stato Paolo Badioli, tanto che durante il dibattimento lo stesso dirigente aveva dichiarato di aver passeggiato con il cane munito di pistola d’ordinanza per paura di subire aggressioni. Il giudice aveva condannato Carriera per la diffamazione a 200 euro con pena sospesa e lo aveva assolto dall’accusa di aver carpito il video in maniera fraudolenta perché il fatto non sussiste. Assolta da tutte le accuse Clarissa Rosselli. Il giudice ha stabilito il risarcimento di 3000 euro per Badioli e 500 euro per ogni sindacato, oltre al pagamento delle spese per le costituzioni di parte civile. Per il giudice Andrea Piersantelli «la ripresa con il telefono cellulare è avvenuta non in modo occulto, ma in modo palese e la persona offesa ne era a conoscenza, al punto da comunicarle il proprio diniego alla diffusione e pubblicazione: non è ravvisabile dunque il carattere fraudolento della registrazione». Non ci sarebbero stati tagli tanto che il giudice scrive che «non c’è stata manipolazione». Ma c’era la diffamazione «perché la pubblicazione del post era diretta a screditare non solo il commissario Badioli, che aveva diretto le operazioni, ma anche la categoria delle forze dell’ordine in generale, il cui operato è stato oggetto di malevola critica, mediante la rappresentazione di una situazione contraria al vero, allo scopo di denigrare le forze dell’ordine nel loro complesso, di qui la sussistenza di un evento di danno anche in capo alle organizzazioni sindacali di categoria».

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