Caso banche, Bocchini (Confindustria) a Casoli: «Da parlamentare cos’ha fatto per il credito?»

Dura replica all'industriale fabrianese: "In Confederazione lo ricordiamo per i 6 mesi di presidenza e le dimissioni"

Caso banche, Bocchini (Confindustria) a Casoli: «Da parlamentare cos’ha fatto per il credito?»
Caso banche, Bocchini (Confindustria) a Casoli: «Da parlamentare cos’ha fatto per il credito?»
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Domenica 3 Marzo 2024, 04:25 - Ultimo aggiornamento: 11:30

Pierluigi Bocchini, presidente di Confindustria Ancona, non ci sta a prendere bacchettate dal collega imprenditore Francesco Casoli, che in un’intervista ieri sul Corriere Adriatico ha puntato il dito contro l’associazione a suo dire incapace svolgere il suo ruolo di «sindacato delle piccole imprese» nel fronte caldo dell’accesso al credito. Anzi, rispedisce al mittente la bordata.

Come replica al j’accuse del patron di Elica?

«Nelle parole di Casoli c’è un’evidente contraddizione».

Ovvero?

«Da un lato, afferma correttamente che la concessione del credito dovrebbe essere basata sulla validità dei piani industriali, delle idee imprenditoriali e del merito creditizio, criticando gli istituti di credito locali che in passato hanno invece privilegiato la relazione ed i rapporti personali».

E dall’altro lato?

«Indica come strada da percorrere per Confindustria quella della lobby nei confronti degli istituti di credito a favore dei propri associati.

Una contraddizione in termini».

Quale ruolo dovrebbe avere invece Confindustria?

«Ritengo che il ruolo di Confindustria sia quello di migliorare la cultura e l’educazione finanziaria delle imprese per un corretto rapporto con il mondo bancario. Oggi le banche richiedono business plans redatti secondo criteri codificati e condivisi, trasparenza nella rappresentazione dei bilanci, merito creditizio».

Cosa state facendo per aiutare i piccoli in questo percorso a ostacoli?

«Confindustria Ancona, solo nelle ultime settimane, ha organizzato eventi formativi con Banca d’Italia e con l’Ordine dei Commercialisti, webinar con il principale Istituto bancario italiano e Sace per introdurre e spiegare le nuove garanzie di Stato sui prestiti».

Cos’altro?

«Organizziamo periodicamente incontri con tutti gli istituti di credito, sia al livello locale che nazionale. Il nostro ruolo non può essere quello di far concedere credito a chi non lo merita o esercitare pressioni che oggi non servono più a niente. Quel modo di fare banca è finito».

Accuse infondate quindi?

«Chi non frequenta Confindustria, non ne conosce le attività e si limita a criticarne l’operato senza la minima cognizione dell’impegno con cui tutta la struttura ogni giorno dà supporto alle imprese associate, dovrebbe quantomeno approfondire prima di esprimere giudizi e pretendere di dare indicazioni».

Ogni riferimento a Francesco Casoli è casuale?

«L’ultimo ricordo che molti associati hanno di Casoli in Confindustria Ancona sono i sei mesi di presidenza del 2005 terminati con le dimissioni rassegnate per potersi poi dedicare all’impegno politico, durante il quale non ricordo particolari iniziative intraprese a supporto del credito alle imprese del territorio».

Entrando nel merito della questione: c’è un problema di accesso al credito nelle Marche? E soprattutto: la risposta è il ritorno alle banche locali?

«Esiste un problema di credito legato alla dimensione. Tradotto: un’impresa è troppo piccola per essere gestita dai grandi istituti nazionali. In questi casi, un ruolo fondamentale lo svolgono i crediti cooperativi: commercianti, artigiani, piccoli imprenditori e agricoltori trovano in essi un punto di riferimento».

Ma il credito cooperativo può arrivare fino ad un certo punto.

«Certo, quando si sale di dimensione, il piccolo credito cooperativo e la banca locale non riescono ad offrire quei servizi che sono in grado di garantire i grandi istituti nazionali».

Una banca intermedia tra le Bcc e i grandi player nazionali - come fu all’epoca Banca Marche - serve ancora?

«Banca Marche era un istituto a carattere pluriregionale. Al di là dei reati commessi nella gestione, poteva avere un senso in termini di territorialità, ma sarebbe comunque stata costretta nel medio termine ad adottare uno dei due modelli: banca locale per le piccole imprese o crescere ed entrare a far parte del novero delle banche nazionali. Una banca che ha carattere regionale o poco più oggi non ha più senso».

Martina Marinangeli

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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