Addio Pino Scaccia, inviato di razza: il giornalista è scomparso a 74 anni vittima del Covid

Addio Pino Scaccia, inviato di razza: il giornalista è scomparso a 74 anni vittima del Covid
Addio Pino Scaccia, inviato di razza: il giornalista è scomparso a 74 anni vittima del Covid
di Stefano Fabrizi
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Giovedì 29 Ottobre 2020, 05:30

Stroncato dal Covid è morto ieri alle 13 in una clinica romana il giornalista Pino Scaccia. Era il 1975 quando, giovane studente in medicina, frequentavo la sede del Corriere Adriatico di via Berti ad Ancona per andare di notte a correggere le bozze del giornale dell’indomani: linotype, aria satura di piombo, tipografi e i giornalisti che venivano a controllare il loro lavoro. Il tutto condito da una costante frenesia di far presto e far bene. Fu così che conobbi Pino Scaccia: curava i settori di sport e spettacoli. Fu amicizia a prima vista. Ed è così che nel gennaio del 1976 mi fece scrivere il mio primo articolo. 

 
A volte si usciva insieme con il fotografo senigalliese Giorgio Pegoli e i colleghi Kruger Agostinelli e Franco Elisei. Serate, ormai impresse nella memoria, nei locali che hanno fatto la storia della nostra regione e che ora non ci sono più. Pino era sempre positivo, sempre con il sorriso aperto e franco, e sempre pronto a dare la pacca sulle spalle. Ricordava spesso che fu lui a dare un passaggio sulla sua Dyane a uno sconosciuto Claudio Baglioni per andare al festival di Numana. Intanto, in redazione portava avanti anche il settore dello sport. E sempre con un attivismo invidiabile. 

Giuseppe Scaccianoce, nato a Roma il 17 maggio del 1946, aveva mosso i primi passi nel mondo del giornalismo giovanissimo in una rivista romana Box Ring, per poi passare al mitico Paese Sera dove è diventato professionista nel ’74. Intanto il suo nome di “battaglia” era diventato, ed è sempre rimasto, Pino Scaccia. Anni in cui le prime esperienze sul campo lo hanno forgiato ad affrontare qualsiasi situazione. La qualifica di caposervizio arriva però dopo essere stato chiamato a far parte della squadra che aveva costruito Dario Beni Jr. chiamato dall’imprenditore Franco Sensi a “rifondare” Voce Adriatica che era ritornata alle origini con la testata Corriere Adriatico. Era il 15 marzo del 1971 quando Pino sbarcò nell’edificio di via Berti che conteneva il magazzino dei rulli di carta, la gigantesca rotativa al piano terra, le sale dei tipografi al secondo piano e la redazione al terzo piano. E Pino era quello che la notte spesso aspettava che la rotativa sfornasse la prima copia del giornale per sporcarsi le dita d’inchiostro non ancora asciugato. E poi, via in qualche locale a trovare personaggi e amici.

Le qualità di Pino Scaccia sono ulteriormente emerse quando è stato chiamato prima nella sede Rai delle Marche il 10 dicembre 1979 e poi direttamente al Tg1 nel giugno 1987: prima allo sport, poi alla cronaca dove è diventato inviato speciale dal 1988. Il suo nome è legato a tutti i principali eventi internazionali degli ultimi 40 anni, dalla disgregazione dell’ex Unione Sovietica e della ex Jugoslavia, dalla prima guerra del Golfo al conflitto serbo croato, fino alla crisi in Afghanistan, oltre al difficile dopoguerra in Iraq, dove è stato l’ultimo compagno di viaggio di Enzo Baldoni. Prima di dedicarsi a tempo pieno all’attività di blogger e scrittore, è stato capo redattore dei servizi speciali del Tg1 ed è stato docente del master di giornalismo radiotelevisivo all’Università Lumsa di Roma. Ha scritto 15 libri.  È anche stato tra i fondatori di Articolo 21, l’associazione (poi diventato quotidiano online) sulla libertà di stampa e sul pluralismo.

La notizia della scomparsa di Pino Scaccia è circolata subito e immediate sono state le manifestazione di cordoglio e di vicinanza alla famiglia e al figlio Gabriele che in queste ore è sommerso da messaggi e chiamate.

Chi non conosceva Pino. Con la televisione era diventato uno di casa, quello che ci raccontava cosa succedeva nel mondo, là dove bombe e proiettili erano il pane quotidiano. Sui social è un ricorrersi di testimonianze e tante sono proprio dalle Marche: di colleghi, ma anche di tutti quelli che avevano modo di conoscerlo. Per me il ricordo di una serata a febbraio di quest’anno nella sede del Coni per un evento curato da un suo altro amico, Miro Riga. In quella occasione mi aveva parlato di tanti progetti che aveva ancora nel cassetto e del suo dolore mai colmato della morte della moglie Rosaria. L’ultima telefonata solo due mesi fa e nulla lasciava presagire la notizia di ieri. Il ricordo in una sua frase ricorrente: «Finché avrò inchiostro nel calamaio continuerò a raccontare».

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