Le Marche e la guerra in Ucraina: «Il grano lo abbiamo, a noi preoccupano gli altri maxi rincari»

Le Marche e la guerra in Ucraina: «Il grano lo abbiamo, a noi preoccupano gli altri maxi rincari»
di Martina Marinangeli
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Sabato 26 Febbraio 2022, 03:10 - Ultimo aggiornamento: 11:24

ANCONA - Il granaio d’Europa è spazzato dai venti della guerra e le aziende che producono beni primari come il pane e la pasta iniziano a tremare. L’ennesimo butterfly effect dell’invasione russa ai danni dell’Ucraina. Nelle Marche, la filiera di questo fondamentale segmento produttivo – dalla produzione allo stoccaggio, passando per la lavorazione – è nella maggior parte dei casi 100% italiana, ma le inevitabili oscillazioni globali rischiano di impattare comunque a livello locale perché i Paesi che invece guardavano al mercato dell’Est Europa per l’importazione del grano dovranno rivolgersi altrove per reperire la materia prima. E l’Italia potrebbe essere uno dei target, cosa che avrebbe una certa ripercussione sui prezzi. 


Le oscillazioni
Il tutto, in un contesto reso già critico dai rincari astronomici – fino al 100% tra settembre e dicembre – proprio sul grano causati da una crisi produttiva in Nord America. «Anche un’azienda che utilizza ingredienti di filiera esclusivamente italiana, come nel caso nostro – spiega Federico Maccari, ceo de La pasta di Camerino – subisce purtroppo conseguenze dirette dall’aumento delle quotazioni del grano straniero.

Qualche Paese, vedendo diminuire le possibilità di importare prodotti da mercati come Ucraina e Russia, decide di andare a comprare in altri contesti, sbilanciando l’equilibrio di domanda ed offerta. La conseguenza è un incremento nei costi della materia prima». 


Il domino
Lo si è già visto con il sensibile rialzo della quotazione del grano canadese in autunno: è l’effetto domino di un’economia globale che finisce per avere un impatto negativo anche su chi non importa da quel mercato, insomma. «Rispetto al grano tenero – prosegue nel ragionamento Maccari –, Russia ed Ucraina sono tra i maggiori produttori globali e soddisfano più del 30% della produzione complessiva. Quindi le tensioni portano poi ad un inasprimento delle condizioni commerciali rispetto a questi prodotti, mettendo in difficoltà tutta l’economia agroalimentare italiana». Una linea di pensiero condivisa da Marcello Pennazzi, amministratore delegato del pastificio Luciana Mosconi, che ha i suoi presidi a Matelica ed Ancona: «Non abbiamo mai importato grano da Russia ed Ucraina perché usiamo una filiera al 100% italiana e quindi, per ciò che ci riguarda, a livello di materia prima siamo fuori da questo tipo di logica. Però in generale, le ripercussioni sul mondo cerealicolo di una crisi tremenda in quello che un tempo era considerato il granaio d’Europa ci saranno. Anche il grano italiano così diventa oggetto di acquisto da parte di Paesi esteri, perciò non è tanto un problema di importazione quanto di esportazione». 
Tuttavia, la batosta al settore l’hanno già data i rincari dell’ultimo trimestre del 2021: «L’invasione dell’Ucraina può sicuramente peggiorare questa cosa, ma non credo di molto. È un ulteriore tassello in una situazione già resa ampiamente critica dall’aspetto inflattivo che sta colpendo ogni cosa – dalle materie prime all’energia - perché poi il grano va trasportato, lavorato e, dato che tutto è aumentato, questo incide negativamente sulla produzione». 
Anche il pastificio Latini di Osimo, guidato da Carla e Carlo Latini, conta su una filiera tutta italiana «collaudata ormai da 30 anni. La struttura molitoria regionale fa un grande servizio ai pastifici artigianali che abbiamo nelle Marche. E questo è strategico per noi perché ci mette a riparo dalle grosse oscillazioni di prezzo. Noi piccoli artigiani riusciamo a contenere di più il prezzo rispetto ai big player, proprio in virtù del rapporto di filiera con le aziende molitorie ed i centri di stoccaggio marchigiani. Il problema dei rincari, però, non tocca solo il grano». Carlo Latini fa notare come «il cellofan per gli imballi abbia subito un incremento fino al 400%. Poi c’è la questione della reperibilità del prodotto, che è diventata molto complicata. Senza contare i tempi di consegna, dilatati in una maniera spaventosa passando da 30 giorni a 60-90 giorni. Una tempesta così perfetta da lasciarci sgomenti». Al quadro si aggiunge un ulteriore tassello critico: «Il prezzo del gas ha avuto un rincaro superiore a quello del grano, quindi l’agricoltore preferisce seminare mais per biomassa piuttosto che grano perché rende di più. A quel punto, saremmo ancora più soggetti alla mancanza di materia prima in casa».

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