Cambiare le regole o cala il buio in sala. Grido d’allarme degli esercenti cinematografici: «I nostri sono posti sicuri»

Cambiare le regole o cala il buio in sala. Grido d’allarme degli esercenti cinematografici: «I nostri sono posti sicuri»
Cambiare le regole o cala il buio in sala. Grido d’allarme degli esercenti cinematografici: «I nostri sono posti sicuri»
di Michele Rocchetti
3 Minuti di Lettura
Venerdì 18 Febbraio 2022, 02:30

ANCONA «Basta norme discriminatorie. Se si continua così chiudiamo tutti». Il grido di allarme si è levato alto dalla sala 1 del Multiplex Giometti di Ancona, dove ieri era riunita la quasi totalità degli esercenti cinematografici della regione. Un grido disperato, che reclama maggiore attenzione da parte delle istituzioni nazionali e locali per attività la cui scomparsa avrebbe gravi ripercussioni, oltre che sul tessuto economico del territorio, anche su quello culturale e sociale.

«Gli effetti della pandemia sulle presenze al cinema sono stati amplificati da norme discriminatorie verso il nostro settore, prive di coerenza e disallineate rispetto a quelle imposte ad altri esercizi. Una su tutte il divieto di consumare cibi e bevande in sala, una importantissima voce nel bilancio delle aziende».

 
Gli interrogativi
Che senso ha, si chiedono, consentire l’attività al chiuso di bar ristoranti e al cinema vietare anche solo di bere un bicchiere d’acqua? L’interrogativo si fa ancora più grande ora che è stato dato il via libera alle discoteche. «Luoghi di divertimento attivo dove la gente sta vicino, parla, si tocca, mentre da noi stanno tutti in silenzio e distanziati. Eppure lì si potrà mangiare, bere e ballare senza mascherina. Invece da noi no». Detto questo, gli esercenti cinematografici tengono a precisare di non avercela con discoteche e ristoranti. 


La richiesta
Al contrario. Vorrebbero soltanto essere trattati come tutti gli altri. «Anche perché così passa l’idea che i cinema non siano posti sicuri, quando invece da noi si entra solo con Super Green pass e mascherine FFP2, abbiamo i distanziamenti, gli ingressi e le uscite separati, sanificazioni continue e il ricambio d’aria come quello degli aerei. Tanto che mai alcun focolaio di Covid è stato riscontrato all’interno di un cinema». Ma a tenere gli spettatori lontani dalle sale non è soltanto la paura. C’è anche l’assenza di regole mirate a tutelare i cinema rispetto alla concorrenza delle piattaforme. «Troppo vaghe le regole, non scritte, di quanto un prodotto debba restare sugli schermi cinematografici prima di essere trasmesso in tv e sulle piattaforme digitali. In Francia devono passare 15 mesi. Qui il ministro Franceschini si è impegnato per imporre uno scarto di 7–8 mesi. Speriamo mantenga la promessa». Anche perché, sottolineano gli esercenti, il cinema da divano, non soltanto non è cinema, ma nemmeno una comodità. Piuttosto un male sociale. «Andare al cinema significa anche uscire di casa, incontrare altra gente, confrontarsi. Mentre non muoversi mai dal proprio salotto aumenta la pigrizia, la solitudine, la depressione. In più il cinema è come un faro. Illumina e anima le città, che senza diventano spente e tristi». 
Per questo è auspicabile che le istituzioni mettano in atto azioni di sostegno a tutti i livelli. «Dal governo ci aspettiamo aiuti economici e scelte legislative coerenti, ma anche a livello locale si può far qualcosa. Per esempio non concentrando tutte le risorse regionali soltanto sulla produzione, ma pensando anche alle sale. Riqualificando gli spazi. Oppure promuovendo iniziative che portino al cinema gli studenti, spettatori del futuro. Infine agendo sulle imposte. Abbiamo continuato a pagare Tari e tassa sulle insegne nonostante quasi 2 anni di inattività».

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