ANCONA - Il prima e il dopo si confondono in un’unica ferita, baratro di dolore e solitudine. Scivolano nell’abisso gli orfani di femminicidio e crimini domestici. Spesso colpiti due volte. Figli della vittima, quasi sempre lo sono anche dell’assassino. Come le due bimbe di Novilara: lo scorso dicembre il padre, il 44enne Mourad Chouaye ha sgozzato la loro mamma, la moglie Simona Purceddu, 41 anni. Poi si è ucciso lanciandosi dalle mura storiche del borgo.
I fatti
«Un gesto inaudito - rabbrividì allora Matteo Ricci. - Ci prenderemo cura di loro». Srotolava il suo manifesto il sindaco Pesaro, che era a due passi da lì: «La lotta contro la violenza sulle donne, che ancora troppo spesso sfocia in tragedie come questa, deve diventare un assillo per la politica e tutte le istituzioni». Un’ossessione. Come fu per la ragazzina che il 18 aprile del 2011 aveva appena 18 mesi quando la madre Melania Rea venne accoltellata a morte in un bosco a pochi chilometri da Ascoli dal marito, Salvatore Parolisi. «Si tratta di minori che hanno perso in modo violentissimo entrambi i genitori. Devono affrontare un presente e un futuro molto difficili, una situazione che richiede un’opera di riparazione attentissima». Per ricucire i brandelli di quelle esistenze, affacciate appena alla vita, Marco Rossi-Doria, presidente della Fondazione “Con i Bambini”, lancia una sfida da 10 milioni. «Per noi si tratta di un grande impegno».
Le risorse
La legge
La presidente rimarca: «Sarà una somma importante che dovrebbe aggiungersi ai 300 euro al mese fissati dalla legge dello Stato, la numero 4 del 2018, in favore degli orfani per crimini domestici. In vigore da due anni, quasi nessuno ha mai visto un euro». Dai pochi mesi di vita ai 18 anni, lungo la strada della rinascita sono previste formazione e inclusione socio-lavorativa. Con un paletto: la realtà è un conto per difetto. «I numeri - Schiarizza non cela l’amarezza - sono inferiori al dato effettivo, perché il sistema di presa in carico non segue una prassi consolidata». Dal tribunale dei minori alle forze dell’ordine, al coinvolgimento diretto di nonni o zii, il percorso post-trauma non ha sponde, né argini precisi. «Così spesso se ne perde la tracciabilità». Il prima e il dopo, che si confondono in quell’unica ferita.
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