Forlani, l’illusione ottica del potere. Dalla gavetta a Pesaro a leader nazionale, una carriera sulla capacità di temperare i giudizi

Forlani, l’illusione ottica del potere
Forlani, l’illusione ottica del potere
di Francesco Malfetano
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Sabato 8 Luglio 2023, 01:20 - Ultimo aggiornamento: 9 Luglio, 07:43

Presidente del Consiglio e vice. Quasi Presidente della Repubblica nel 1992 (fu a 29 voti dall’elezione). Segretario della Democrazia cristiana, nascente e morente, tre volte ministro. Infine europarlamentare e, soprattutto, deputato ininterrottamente dal 1958 al 1994. La grandezza di Arnaldo Forlani non sta solo nei ruoli che ha ricoperto nel corso della sua lunga vita, ma soprattutto nell’eredità politica che si è lasciato alle spalle. Forlani, con la sua compostezza spesso criticata, insegnava il senso relativo del potere e delle cariche. «Tutto è un’illusione ottica. Le cose importanti sono altre» lo ricorderà anni più tardi il suo delfino, collaboratore e allievo Pierferdinando Casini.


Il lungo distacco


Per questo la morte dell’ultimo presidente della Dc, a 97 anni, dopo un lungo distacco dall’agone fa ancora notizia. Forlani si è spento giovedì sera nella sua casa all’Eur, a Roma, circondato dall’affetto dei tre figli Alessandro, Marco e Luigi, lasciando il ricordo commosso di una vita che Casini l’altra sera ha riassunto così: «Ha servito la politica e non se ne è mai servito. Ha avuto grandi soddisfazioni nella sua vita pubblica e altrettante amarezze. Ha affrontato il tutto con una profonda fede cristiana e con una grande umanità». La lunga ascesa di Forlani, prima di restare incastrata in epiteti forse poco lusinghieri ma a lungo rappresentativi come “coniglio mannaro” o “tigre che dorme”, partì da una laurea in Giurisprudenza all’Università di Urbino, passò per una breve esperienza da calciatore in serie C e si avviò definitivamente con lo slancio offerto dal suo padre putativo nella Dc: Amintore Fanfani. Dopo la gavetta da consigliere provinciale e comunale, Forlani entra in direzione nazionale, diventandone già nel 1962 vicesegretario del partito e segretario tra il ‘69-‘73, forte anche di un’intesa con Ciriaco De Mita, che valse a entrambi il soprannome di “gemelli di San Ginesio” quando, in un convegno svolto nell’omonimo paese marchigiano, i due allora quarantenni lanciarono una delle tante rottamazioni generazionali interne cui periodicamente la Dc di sottoponeva. 


La scelta della centralità


La sua segreteria fu caratterizzata dalla scelta della “centralità’’ come linea politica della DC, cioè dalla convinzione, mai abbandonata, del ruolo egemone della Democrazia cristiana e della sua radicale diversità dalle ali estreme dello schieramento politico.

Al gennaio 1970 risale la stesura del “preambolo” che porta il suo nome e che Rumor introdusse a marzo nel programma del suo terzo governo. L’aspetto politicamente più rilevante del “preambolo Forlani” era il proposito di estendere la formula di centrosinistra a tutte le amministrazioni locali, spingendo il PSI a interrompere in periferia la collaborazione con il PCI. Fu cioè il padre di un’intesa tra Dc e socialisti che a suo modo gettò le basi per il moderno centrodestra. 

La carriera


Poi più volte ministro (Partecipazioni statali nell’esecutivo di Mariano Rumor, Rapporti con le Nazioni Unite nel Rumor II, Difesa tra il ‘74-‘76 e Esteri ‘76-‘79), costruì la sua carriera sulla capacità di «temperare i giudizi», incarnando a fondo l’animo di una Balena Bianca che tentò di preservare fino all’ultimo. Sia quando divenne l’ultima lettera del “Caf”, l’alleanza politica con il segretario socialista e Andreotti. Sia, più in là, quando assunse per la seconda volta la carica di segretario dal 1989 all’ottobre 1992. Proprio il 1992 fu l’anno della sua caduta, sia come segretario, sia perché sconfitto dai franchi tiratori andreottiani nella corsa al Quirinale. Un’uscita di scena drammatica quanto iconografica. Forlani, tra gli imputati di spicco nel processo per la maxi-tangente Enimont, sarà ricordato per le immagini impietose della sua deposizione che lo ritraggono con residui di saliva agli angoli della bocca, mentre risponde alle domande di Antonio Di Pietro, alternando «non so» e «non ricordo» che gli costeranno in via definitiva 2 anni e 4 mesi per finanziamento illecito, poi riconvertiti in servizi sociali compiuti alla Caritas.
Una pena, in verità, mai davvero digerita. «Quello che le posso dire – spiegò Forlani anni dopo - io usufruii della pena alternativa del servizio sociale sulla base della sentenza del tribunale di sorveglianza che ha scritto: «Non risulta essere personalmente intervenuto sulla concreta gestione degli irregolari finanziamenti ricevuti dal suo partito». Parole che non lo hanno salvato da un oblio politico da cui, non è mai fuggito. «È ingiusto, ma berrò la mia cicuta». 
 

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