«Pentimento incerto e opportunistico»: la Cassazione conferma i 12 anni a Traini per la sparatoria a sfondo razziale

Macerata, «Pentimento incerto e opportunistico»: la Cassazione conferma i 12 anni a Traini per la sparatoria a sfondo razziale
Macerata, «Pentimento incerto e opportunistico»: la Cassazione conferma i 12 anni a Traini per la sparatoria a sfondo razziale
di Benedetta Lombo
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Giovedì 25 Marzo 2021, 08:50 - Ultimo aggiornamento: 15:59

MACERATA La Corte di Cassazione ha deciso: confermata la condanna a 12 anni di reclusione per Luca Traini, il 31enne che il 3 febbraio di tre anni fa sparò contro passanti di colore ferendone sei.

Ieri pomeriggio i giudici della Sesta sezione penale hanno confermato la condanna di secondo grado (che a sua volta confermava la pena inflitta in primo grado) per il reato di strage aggravata dall’odio razziale e una serie di reati minori, come chiesto dal sostituto procuratore generale presso la Cassazione Marco Dall’Olio. 

Le requisitoria 

«Traini quella mattina – ha ricordato il sostituto pg nel corso della requisitoria -, per il suo sciagurato tour della morte, è uscito di casa con una pistola Glock e una scatola di munizioni e voleva uccidere una moltitudine indeterminata di persone». Alla richiesta della Procura si sono associate anche le 13 parti civili, di queste ieri a Roma c’erano i legali Marco Fabiani, Carlo Buongarzone, Gianfranco Borgani e Raffaele Delle Fave. In aula, a sostenere la difesa, invece, c’era l’avvocato Franco Coppi, notissimo penalista, già difensore, tra gli altri, di Giulio Andreotti e Silvio Berlusconi (l’avvocato Giancarlo Giulianelli, oggi garante regionale dei diritti, che ha seguito i primi due gradi di giudizio, ha dovuto rinunciare a diversi incarichi). Il legale ha sostenuto ciò che era stato già messo nero su bianco nel ricorso con cui era stato chiesto l’annullamento della sentenza emessa dai giudici della Corte d’Assise d’Appello di Ancona il 2 ottobre del 2019.

La posizione

Per la difesa, che ha contestato anche il riconoscimento dell’aggravante dell’odio razziale, ci sarebbe stata un’erronea applicazione della norma penale (al massimo si sarebbe trattato di tentati omicidi ma non di strage) e una contraddittorietà e illogicità della motivazione. «Da parte di Luca Traini - ha puntualizzato Coppi - non c’era la volontà di colpire chiunque mentre nel reato di strage c’è l’indeterminatezza delle vittime. Nel suo comportamento non c’è odio razziale. Traini, colto da un impulso irresistibile, voleva colpire solo i neri, ergendosi a vendicatore, perché riteneva i neri responsabili dello spaccio di droga». Il “Lupo”, così era chiamato Traini da chi lo conosceva, il 3 febbraio del 2018 mise sotto scacco l’intera città di Macerata girando per le strade cittadine e sparando contro le persone di colore che incrociava lungo il suo percorso, contro due locali, uno a Sforzacosta e l’altro a Casette Verdini di Pollenza e contro la sede del Pd in via Spalato a Macerata.

La ricostruzione

Un raid durato circa un’ora e mezza, iniziato poco dopo le 10 (quando arrivò alla centrale dei carabinieri la segnalazione di un uomo che a bordo di un’Alfa 147 di colore nero stava esplodendo colpi di arma da fuoco in diversi punti della città nei confronti di alcuni passanti) e conclusosi alle 12.30 quando il giovane, all’epoca 28enne, si consegnò ai militari dell’Arma avvolto nella bandiera italiana sulla gradinata del monumento ai Caduti. Il giovane rivendicò sin da subito di non aver avuto alcuna finalità razzista, di aver agito per vendicare Pamela Mastropietro, di non avercela con i neri ma solo con gli spacciatori che a suo dire, all’epoca, erano tutti «neri». Tra le sei vittime di colore c’era anche una donna e tra tutti i feriti solo uno era poi risultato essere effettivamente un pusher. E queste due circostanze non avevano contribuito a rendere particolarmente credibili le sue parole. 

Gli oggetti 

Non meno trascurabili furono poi gli oggetti che i carabinieri gli trovarono a casa nelle ore successive al raid xenofobo (una copia del Mein Kampf, di Adolf Hitler, una bandiera con la croce celtica e altre pubblicazioni riconducibili all’estrema destra) e il tatuaggio che si era fatto tatuare su una tempia (il simbolo usato da “Das Reich” la panzer division delle Waffen SS di Hitler). Di «pentimento incerto e opportunistico» parlarono i giudici della prima Sezione penale della Cassazione che a luglio del 2019 dichiararono inammissibile il ricorso presentato dal legale Giulianelli per ottenere una misura cautelare meno afflittiva del carcere per il suo cliente. A febbraio dell’anno successivo, nel motivare quella decisione, i giudici spiegarono che Traini, ritenuto una persona di «spiccatissima pericolosità sociale» per il quale sussiste il rischio di una «recidiva derivante dalla perdurante mancanza di comprensione dei fatti», aveva commesso un «reato di estrema gravità».