Il santuario del Beato Sante di Mombaroccio festeggia gli 800 anni della presenza dei frati minori francescani

Il santuario del Beato Sante di Mombaroccio festeggia gli 800 anni della presenza dei frati minori francescani
Il santuario del Beato Sante di Mombaroccio festeggia gli 800 anni della presenza dei frati minori francescani
di Veronique Angeletti
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Venerdì 14 Luglio 2023, 06:20 - Ultimo aggiornamento: 22 Luglio, 12:07

MOMBAROCCIO - Quest’anno il santuario del Beato Sante di Mombaroccio festeggia l’ottavo centenario della presenza dei frati minori francescani. Era nel 1223 quando un piccolo gruppo di frati decise di fondare un convento sul colle di Santa Maria di Scotaneto, il primo nella diocesi di Pesaro. Scelsero un luogo speciale immerso in un fitto bosco che, questa settimana, ospiterà una serie di iniziative spirituali, religiose, culturali per festeggiare l’anniversario e diffondere l’eredità del pensiero francescano.


Il cavaliere Bartocetti

A capo delle celebrazioni, l’associazione “Il Sole nel Cuore”. Commissario delle iniziative è il cavaliere Damiano Bartocetti. Un luogo che, da secoli, è meta di pellegrinaggi. Custodisce le spoglie del Beato Sante Brancorsini che visse una vita molto simile a quella di “Fra Cristoforo”, il personaggio dei “Promessi Sposi” immaginato da Alessandro Manzoni ma meravigliosamente piena di prodigi. La sua storia inizia come Giansante, figlio di Giandomenico Brancorsini e di Eleonora Ruggeri. Nacque nel 1343 a Montefabbri e studiò grammatica e diritto nella Città Ducale di Urbino ma non concluse gli studi. Fu indirizzato verso la carriera giuridico-militare. Un giorno, all’età di 20 anni, mentre faceva da paciere in una lite, richiama il suo migliore amico, c’è chi sostiene era un parente, che interpretò questa presa di posizione come un complotto e sfoderando la spada l’attaccò. Giansante, per difendersi, ferì l’amico mortalmente.

Affranto, si ritirò a 21 anni, nel 1362, nell’Eremo di Santa Maria di Scotaneto di Mombaroccio come semplice frate converso dei Frati Minori.


I prodigi


Scelse di vivere in totale povertà, vestì l’abito, fu maestro dei novizi e si distinse per la sua vita di preghiera, di umiltà, di devozione e di penitenza. Per marcare la sua espiazione chiese a Dio di soffrire gli stessi dolori inferti all’uomo da lui ucciso. Una piaga ulcerosa si aprì alla gamba destra dalla quale non guarì mai. Morì all’età di 51 anni, il 14 agosto 1394. Un beato che ha esaudito ed esaudisce le preghiere di molti pellegrini e fece prodigi eclatanti ma senza quello scalpore che toglie la pace e la serenità ai luoghi dove sono avvenuti. Sapeva come farsi ascoltare dalle piante e dagli animali. Ottenne con la sua croce ad una quercia di produrre delle ghiande; dal lupo che mangiò il suo asinello di diventare la sua bestia di lavoro; dal giardino spoglio d’inverno di regalargli ciliegie.

Dopo la sua morte fu un giglio ad indicare il luogo dove seppellirlo e si dice che fu lui stesso ad accendere la prima fiaccolata sopra il campanile del convento nel momento in cui spirò. La sua fama di santità e i prodigi dopo la sua morte portarono nel 1769, l’arcivescovo di Urbino a fare una ricognizione delle spoglie e a depositarle sotto l’altare della cappella a lui intitolata. Un anno dopo, papa Clemente IV lo beatificò per equipollenza. Con un decreto riconobbe un culto spontaneo esistente da tempo. 

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