Gian Vittorio Battilà: «Dettavo sempre le regole ma nel calcio sgarravo»

Gian Vittorio Battilà, classe 1984, si è laureato nel 2008 in Ingegneria ad Ancona
Gian Vittorio Battilà, classe 1984, si è laureato nel 2008 in Ingegneria ad Ancona
di Valentina Berdozzi
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Domenica 4 Febbraio 2024, 02:00 - Ultimo aggiornamento: 12:08

Fanno il loro lavoro sotto terra, lontano da tutti, nel buio più profondo e nel silenzio più assordante, là dove le voci del mondo non arrivano. Laggiù nessuno può ammirarle e complimentarsi con loro per quello che sono, ignorate ma essenziali, solide, robuste, inamovibili. Le fondazioni attraversano il tempo nel buio che le accoglie, le protegge, le culla a modo suo, caricando sulle proprie spalle il peso della vita che scorre al di sopra. Il loro destino non le coglie mai impreparate: quando si avvia un progetto, c'è chi pensa innanzitutto a loro e le progetta con la specifica intenzione di farle resistere agli sconquassi della vita, piegandosi senza spezzarsi mai.

Di fondazioni così, gli occhi di Gian Vittorio Battilà sono pieni.

Da ingegnere civile con dottorato in geotecnica, le fondazioni sono il suo pane quotidiano e rappresentano la sfida lanciata al tempo. Anche con i ricordi funziona così: affondano le radici nel cuore e rappresentano la base solida su cui costruire una vita; sono lo zoccolo duro che sta in fondo a ogni giornata. Ricordi della sua Porto Sant’Elpidio.


Il passato


Dietro all'uomo di oggi, le sue fondazioni raccontano di un bambino «preciso, sempre attento ai dettagli, tenace e a tratti puntiglioso - comincia Gian Vittorio mentre un sorriso si allarga sul viso - ero metodico negli studi e ben organizzato in tutto. Talmente tanto, che ogni sera alle 23 in punto pretendevo da tutti i componenti della mia famiglia che spegnessero le luci e filassero a dormire. Non c'erano santi che tenessero: a quell'ora si filava a nanna senza battere ciglio». Compagna di viaggio, di vita e di tanti pomeriggi «passati a giocare con le costruzioni, erigendo non tanto case e palazzi quanto piuttosto strade e ponti», ride Gian Vittorio, c’è solo un luogo in cui la precisione cedeva il passo a tutto e la trasformazione era completa.

«Sul campo di calcio era tutta un’altra storia - ricorda - non c’erano vincoli o regole: ero il primo a buttarmi nella mischia e non mi tiravo mai indietro. Mi lanciavo sulla palla senza esitazioni e con un entusiasmo che niente aveva a che vedere con la precisione, anche nell’aspetto e nella cura della mia persona, che di norma mi apparteneva. Il calcio è stato una vera, enorme passione, che mi ha assorbito tutto: dai pomeriggi alla pinetina con gli amici agli anni passati militando con il Porto Sant’Elpidio Calcio, prima, e con la Pinturetta Falcor, poi. Un amore totalizzante, come la fede milanista e l’ammirazione per gli idoli di sempre, come Gattuso, Cambiasso, Kakà e Shevchenko. Ne ammiravo le gesta e le prodezze e quei gol rimasti nella storia e nel cuore».

Sempre lì, nel profondo della memoria e dove l’anima pulsa, erano scolpiti i nomi di altri due campioni. Non in carne e ossa, ma in grado comunque di far volare la passione, di emozionare e tenere tutti con il fiato sospeso. Erano Holly e Benji, i giocatori del cartone animato che ha accompagnato tanti pomeriggi e riempie di dolcezza anche un altro ricordo, che dalla memoria pian piano riemerge.

«Era la sera della finale de La Scarpetta d’oro, la celebre manifestazione che scova e premia giovani talenti canori del territorio. Ero andato in piazza ad assistere allo spettacolo con i miei che però, a un certo punto della serata, mi persero di vista. Mi ritrovarono sul palco, dove mi aveva fatto salire il presentatore della kermesse commosso dalla mia richiesta di potermi esibire anche io. Neanche a dirlo, cantai la sigla di Holly e Benji, unendo così la mia passione per il calcio a quella capacità, del tutto innata, di vestire bene i panni del protagonista, quando la situazione lo richiedeva».


Il dono


È un regalo di mamma Maria Vittoria, detta Daniela: «Sempre spigliata e allegra, faceva battute in continuazione. Devo a lei l’aspetto estroverso del mio carattere, così come devo a mio padre, invece, la passione per il ragionamento - spiega -: con lui, ogni discorso correva sul filo dei collegamenti concettuali tra temi e argomenti diversi, alla ricerca di tutti i possibili nessi causa/effetto. Mi ha sempre spronato a seguire con attenzione e curiosità l’attualità, nell’assoluta convinzione che “un tg al giorno avrebbe tolto il professore di torno”, come amava sempre ripetere a me e a mio fratello Gian Daniele, così come a tutti i suoi alunni».
 

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