probabilmente ne nasconde un’altra, relativa alla reale possibilità di comprendere il cambiamento climatico come costruzione sociale. Le immagini restituite dai social mostrano la terribile non consapevolezza delle vittime, che è ampiamente la nostra, ancora del tutto consegnati alla cultura imposta dal “capitalismo fossile”. Il cambiamento climatico non è interpretabile al di fuori dei cicli di produzione e consumo di merci e materie prime che caratterizzano una società che maschera la sua de-materializzazione con un costante aumento del fabbisogno energetico. Inoltre non riesce a creare struttura sociale perché le mutazioni ambientali risultano esterne alla “semantica disponibile” (N. Luhmann), osservabili socialmente grazie ai movimenti di protesta innescati dalle culture del rischio. Lo strumentario concettuale con cui ci rappresentiamo il mondo non è pronto a recepire in termini di “costo assoluto” la temibile novità del cambiamento climatico che investe dunque la stessa possibilità di definire un discorso su ciò che accade intorno a noi, in una condizione di profonda ed inedita transizione ecologica che dovrà scandire pratiche sociali di trasformazione ed adattamento ad un nuovo ordine, storicamente affidate solo alle grandi religioni ed alla torsione politico-morale della struttura sociale. Se nel passato il rapporto tra società umane e natura è stato difficile ma in sostanziale equilibrio, oggi esso ha assunto una configurazione critica alla quale comunemente diamo il nome di crisi ambientale. Con questa espressione si intende un progressivo deterioramento del rapporto tra società umana ed ambiente naturale tipico dei paesi industrializzati, ma che ormai si sta estendendo ad ogni latitudine con l’imporsi di un pensiero unico e di un mercato globale. La compromissione degli equilibri tra società e natura chiama in causa la progressiva eliminazione di quanto di naturale permane nella società umana. Allora, la crisi ambientale rimanda ad una crisi più profonda che inerisce i rapporti tra natura e cultura, segnatamente nella sua determinante tecnologica, figlia della concezione che l’uomo contemporaneo ha di sé. La crisi ecologica dunque si accompagna ad una specifica crisi della visione antropologica dell’età moderna, al cuore di una auto-realizzazione umana in cui non hanno mai avuto valore fondativo istanze legate agli oggetti del mondo naturale. Le scienze della cultura, anche di tipo “critico”, occupandosi di testi, faticano ad attribuire il giusto rilievo a quelle pratiche sociali complesse che si spingono oltre i confini della testualità e che risultano comunque decisive per la produzione di senso. Si pensi alle pratiche di consumo esperienziale, alle fruizioni mediatiche (o di svariati altri prodotti) che “producono significato senza per questo dipendere da un codice o essere inscritte in una qualche forma di testo” (de Certeau).
*Sociologo della devianza e del mutamento sociale