La tragedia della Marmolada e il cambiamento climatico

La tragedia della Marmolada e il cambiamento climatico

di Rossano Buccioni
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Martedì 19 Luglio 2022, 03:20

probabilmente ne nasconde un’altra, relativa alla reale possibilità di comprendere il cambiamento climatico come costruzione sociale. Le immagini restituite dai social mostrano la terribile non consapevolezza delle vittime, che è ampiamente la nostra, ancora del tutto consegnati alla cultura imposta dal “capitalismo fossile”. Il cambiamento climatico non è interpretabile al di fuori dei cicli di produzione e consumo di merci e materie prime che caratterizzano una società che maschera la sua de-materializzazione con un costante aumento del fabbisogno energetico. Inoltre non riesce a creare struttura sociale perché le mutazioni ambientali risultano esterne alla “semantica disponibile” (N. Luhmann), osservabili socialmente grazie ai movimenti di protesta innescati dalle culture del rischio. Lo strumentario concettuale con cui ci rappresentiamo il mondo non è pronto a recepire in termini di “costo assoluto” la temibile novità del cambiamento climatico che investe dunque la stessa possibilità di definire un discorso su ciò che accade intorno a noi, in una condizione di profonda ed inedita transizione ecologica che dovrà scandire pratiche sociali di trasformazione ed adattamento ad un nuovo ordine, storicamente affidate solo alle grandi religioni ed alla torsione politico-morale della struttura sociale. Se nel passato il rapporto tra società umane e natura è stato difficile ma in sostanziale equilibrio, oggi esso ha assunto una configurazione critica alla quale comunemente diamo il nome di crisi ambientale. Con questa espressione si intende un progressivo deterioramento del rapporto tra società umana ed ambiente naturale tipico dei paesi industrializzati, ma che ormai si sta estendendo ad ogni latitudine con l’imporsi di un pensiero unico e di un mercato globale. La compromissione degli equilibri tra società e natura chiama in causa la progressiva eliminazione di quanto di naturale permane nella società umana. Allora, la crisi ambientale rimanda ad una crisi più profonda che inerisce i rapporti tra natura e cultura, segnatamente nella sua determinante tecnologica, figlia della concezione che l’uomo contemporaneo ha di sé. La crisi ecologica dunque si accompagna ad una specifica crisi della visione antropologica dell’età moderna, al cuore di una auto-realizzazione umana in cui non hanno mai avuto valore fondativo istanze legate agli oggetti del mondo naturale. Le scienze della cultura, anche di tipo “critico”, occupandosi di testi, faticano ad attribuire il giusto rilievo a quelle pratiche sociali complesse che si spingono oltre i confini della testualità e che risultano comunque decisive per la produzione di senso. Si pensi alle pratiche di consumo esperienziale, alle fruizioni mediatiche (o di svariati altri prodotti) che “producono significato senza per questo dipendere da un codice o essere inscritte in una qualche forma di testo” (de Certeau).

La nostra è una cultura legata ai consumi che fatica a codificare in termini di struttura sociale duratura le istanze relative all’imporsi di un drastico - quanto necessario - cambiamento nel nostro stile di vita. Tutti noi dipendiamo da una strategia di azione complessa che però non riesce a farsi carico della necessità di cambiamento insita nella crisi ambientale in atto. Se un “testo” potrà irritarci e muovere le nostre coscienze, sarà pur sempre all’interno del “discorso” in cui sarà inserito, capace di fornire una dettagliata struttura di vincoli esprimente una perfetta immagine della situazione comunicativa in cui ci troviamo, dei rapporti tra mittenti e destinatari dei testi circolanti e delle regole pratiche per la loro fruizione. Ogni testo riassume un discorso e predispone delle strutture di comportamento, ma per la crisi ambientale sembra costantemente riproporsi una macchia cieca linguistica (non vediamo che non stiamo vedendo). Notizie o immagini tragiche – come quelle della Marmolada - non offrono contenuti di tipo assertivo - persuasivo sulle emergenze che viviamo, ma attivano una profonda faglia comunicativa legata al discorso relativo alla società del rischio cui siamo abbondantemente abituati. Il frame delle immagini della Marmolada dunque seguirà la traiettoria “irritazione/rimozione”, con la rapida saturazione comunicativa che non ottiene sul pubblico alcun effetto “informativo” (produrre evidenze capaci di attivare un cambio nelle strategie di comportamento). Il dato del cambiamento climatico non sembra incidere sull’inconscio sociale, ancorato ad una idea di natura capace di mantenere il proprio principio di ricostituzione. Invece, occorrerebbe creare una socio-semiotica della crisi ambientale, per la quale non solo non siamo attrezzati empiricamente, ma non possediamo nemmeno il potenziale linguistico necessario per codificare con buone pratiche un qualche mutamento di azione collettiva, dato che oggi entrano in questione i rapporti psico-sociali con le determinanti ambientali ed il modo in cui vengono registrati nello psichismo. Allo stesso tempo, occorrerebbe approfondire lo studio dei meccanismi di difesa individuali e collettivi nei confronti delle inevitabili conseguenze delle catastrofi ambientali che, presto o tardi, ridefiniranno le dinamiche relazionali e gruppali. Non dimentichiamo che dietro quella che è stata definita “barriera linguistica” (L. Caffo), la nostra sensibilità comune ha tracciato per millenni il confine tra umani e non umani o tra umanità come soggetto parlante ed oggettualità altra da noi (tra cui la vita della Terra interpretata come risorsa), determinando una immensa rimozione a danno di entità senza storia - dunque sacrificabili - che ora reclamano un tardivo, ma pieno riconoscimento.

*Sociologo della devianza e del mutamento sociale

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