Dalle diseguaglianze a comportamenti virtuosi

Dalle diseguaglianze a comportamenti virtuosi

di Donato Iacobucci
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Mercoledì 19 Luglio 2023, 07:05

Le ipotesi di riforma fiscale di cui si è iniziato a discutere con la nuova legislatura hanno inevitabilmente sollevato il tema delle disuguaglianze economiche. Sia perché uno dei principi fondamentali della tassazione, ribadito nella Costituzione, è quello della progressività delle imposte (cioè il fatto che l’imposizione fiscale debba crescere più che proporzionalmente al crescere della capacità contributiva) sia perché la tassazione costituisce uno dei principali strumenti di redistribuzione del reddito e della ricchezza. Da almeno un trentennio in quasi tutti i paesi avanzati si è assistito ad un incremento delle disuguaglianze economiche. II ricchi sono diventati più ricchi e i poveri più poveri, mentre buona parte della fascia media ha regredito le sue posizioni relative. Vi sono diversi modi per misurare le disuguaglianze: quello più diffuso è di esaminare la distribuzione del reddito e della ricchezza e confrontare la distanza fra la parte più alta della distribuzione e la parte più bassa. Questa distanza è aumentata sia se si considera i flussi di reddito annuo sia se si considera lo stock della ricchezza, finanziaria e immobiliare. Il fenomeno della disuguaglianza assume caratteri diversi a seconda della scala territoriale alla quale viene effettuata la misura. Se confrontiamo le medie nazionali del reddito pro-capite il fenomeno è meno evidente. Esso emerge con tutta evidenza quando si considerano le differenze all’interno degli stessi paesi. Le disuguaglianze sono osservabili anche con la lente territoriale: crescono le distanze fra regioni centrali e regioni periferiche; fra le aree urbane e le aree marginali all’interno della stessa regione; e fra le aree centrali e le aree periferiche all’interno delle città. Gli economisti hanno individuato diverse cause per spiegare questo incremento delle disuguaglianze. Una di queste è il rapido sviluppo delle tecnologie, che avvantaggia chi dispone di competenze e capacità per sfruttarle e penalizza chi ne è lasciato ai margini quando non addirittura penalizzato nelle proprie competenze e capacità in quando non più necessarie. Ma le principali responsabilità sono attribuite agli assetti istituzionali, cioè alle regole che governano il funzionamento delle economie e dei mercati.

I processi di liberalizzazione dei mercati all’interno dei singoli stati e negli scambi di merci e capitali a livello internazionale hanno sicuramente favorito la crescita globale ma hanno anche accentuato gli squilibri. L’incremento delle disuguaglianze non è quindi un risultato inevitabile ma è anche il frutto di specifiche scelte di politica economica. In effetti, gli economisti si dividono non tanto sull’individuazione delle cause della disuguaglianza quanto sul giudizio relativo al suo livello e alla sua desiderabilità. L’uguaglianza nella distribuzione dei redditi e della ricchezza, ammesso di trovare un meccanismo per realizzarla, produrrebbe effetti disastrosi dal punto di vista della crescita economica e sarebbe inaccettabile in considerazione delle differenze individuali. La questione è fino a che punto la disuguaglianza è benefica per la crescita, individuale e collettiva, e soprattutto da quali processi è generata. Fa differenza se essa è il risultato dell’impegno e della capacità innovativa (che contribuisce alla ricchezza collettiva e individuale) oppure è il risultato di rendite di posizione che, al contrario, penalizzano l’impegno e l’innovazione. Le politiche redistributive, attuate attraverso il sistema fiscale, sono sicuramente importanti, ma ancor più rilevante è intervenire sui meccanismi di creazione delle disuguaglianze. Non per eliminarle, obiettivo pressoché impossibile e per molti nemmeno auspicabile, ma per far sì che esse incentivino comportamenti individuali e collettivi virtuosi e non di immobilismo e difesa dello status quo. Non è solo l’entità delle disuguaglianze che conta, ma come si producono e come si mantengono nel tempo. Nel nostro paese sono diventati meno efficaci i meccanismi di mobilità sociale e si sono accentuati i meccanismi di trasmissione ereditaria. È a questi meccanismi che dovremmo prestare attenzione, prima ancora che alle politiche fiscali di redistribuzione.

*Docente di Economia alla Politecnica delle Marche e coordinatore Fondazione Merloni

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