Le ipotesi di riforma fiscale di cui si è iniziato a discutere con la nuova legislatura hanno inevitabilmente sollevato il tema delle disuguaglianze economiche. Sia perché uno dei principi fondamentali della tassazione, ribadito nella Costituzione, è quello della progressività delle imposte (cioè il fatto che l’imposizione fiscale debba crescere più che proporzionalmente al crescere della capacità contributiva) sia perché la tassazione costituisce uno dei principali strumenti di redistribuzione del reddito e della ricchezza. Da almeno un trentennio in quasi tutti i paesi avanzati si è assistito ad un incremento delle disuguaglianze economiche. II ricchi sono diventati più ricchi e i poveri più poveri, mentre buona parte della fascia media ha regredito le sue posizioni relative. Vi sono diversi modi per misurare le disuguaglianze: quello più diffuso è di esaminare la distribuzione del reddito e della ricchezza e confrontare la distanza fra la parte più alta della distribuzione e la parte più bassa. Questa distanza è aumentata sia se si considera i flussi di reddito annuo sia se si considera lo stock della ricchezza, finanziaria e immobiliare. Il fenomeno della disuguaglianza assume caratteri diversi a seconda della scala territoriale alla quale viene effettuata la misura. Se confrontiamo le medie nazionali del reddito pro-capite il fenomeno è meno evidente. Esso emerge con tutta evidenza quando si considerano le differenze all’interno degli stessi paesi. Le disuguaglianze sono osservabili anche con la lente territoriale: crescono le distanze fra regioni centrali e regioni periferiche; fra le aree urbane e le aree marginali all’interno della stessa regione; e fra le aree centrali e le aree periferiche all’interno delle città. Gli economisti hanno individuato diverse cause per spiegare questo incremento delle disuguaglianze. Una di queste è il rapido sviluppo delle tecnologie, che avvantaggia chi dispone di competenze e capacità per sfruttarle e penalizza chi ne è lasciato ai margini quando non addirittura penalizzato nelle proprie competenze e capacità in quando non più necessarie. Ma le principali responsabilità sono attribuite agli assetti istituzionali, cioè alle regole che governano il funzionamento delle economie e dei mercati.
*Docente di Economia alla Politecnica delle Marche e coordinatore Fondazione Merloni