La vita dei giovani sacrificata alle presunte droghe leggere

La vita dei giovani sacrificata alle presunte droghe leggere

di Don Aldo Buonaiuto
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Domenica 12 Luglio 2020, 10:40
«Non c’è dolore più grande di quello di una madre che ha un figlio drogato. Così come non c’è gioia più grande di quella per un figlio liberato dalla droga». Queste parole don Oreste Benzi, fondatore della Comunità Giovanni XXIII, le ripeteva continuamente perché nascevano da esperienze e da incontri reali e concreti. Ho pensato ai genitori dei due ragazzi di Terni uccisi dalle sostanze per quindici euro. Quanto dolore, strazio incontenibile possono vivere quei genitori nel perdere i figli nel momento più promettente dell’esistenza umana. Non c’è dramma più assoluto di un’alba che non potrà mai divenire giorno. Il vescovo della città umbra, monsignor Giuseppe Piemontese, ha sottolineato «l’assurdità di queste giovani morti e la solitudine esistenziale di chi ha ancora bisogno di protezione, sostegno e accompagnamento educativo verso la vita. Tante sono le chimere e gli agguati sottovalutati, dagli esiti pericolosi e a volte ahimè tragici». Il rischio inaccettabile è che si riduca la terribile vicenda ad un fatto di sola cronaca. Davanti a giovani vite spezzate emerge ancora più nitidamente il dilagare di un sistema di morte, radicato anche in Italia, sempre più finalizzato a liberalizzare le droghe definendole erroneamente “leggere”. In realtà gli scienziati, i medici, le persone che studiano seriamente il fenomeno sanno bene che non esistono sostanze “leggere” e “pesanti”. Il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano, intervenendo nel 2018 a un simposio internazionale aveva osservato: «Come ha affermato Papa Francesco, la droga, al pari delle altre dipendenze, è un male e con il male non ci possono essere cedimenti o compromessi. Pensare di poter ridurre il danno, consentendo l’uso di psicofarmaci a quelle persone che continuano a usare droga, non risolve affatto il problema. Le legalizzazioni delle cosiddette “droghe leggere”, anche parziali, oltre a essere quanto meno discutibili sul piano legislativo, non producono gli effetti che si erano prefisse». Di fatto tutte le droghe sono “pesanti”, anzi, sono macigni, perché provocano dipendenza, perdita del senso della realtà, annullamento della coscienza individuale. L’infelice traduzione delle espressioni inglesi “hard drugs e soft drugs” ha soltanto agevolato i trafficanti e le varie mafie alimentando il loro business e diffondendo la menzogna di una modalità di assunzione ritenuta meno nociva. Sappiano i nuovi schiavi delle sostanze killer che esiste sempre una via d’uscita dal loro incubo: l’ingresso in una struttura di recupero. Paradossalmente era più “visibile” lo scenario da “ragazzi dello zoo di Berlino”, quando la tossicodipendenza era agevolmente localizzabile e passibile di delimitazione sociale. Oggi la schiavitù sintetica è indefinibile e sfuggente come il metadone diluito che ha stroncato due esistenze agli albori. In una società liquida la dipendenza è diventata invisibile persino agli stessi familiari. Fino agli anni ’80 il “tossico” era un soggetto riconoscibile e quindi i centri di recupero potevano soccorrerlo in modo più tempestivo. Adesso, invece, le sostanze si possono ordinare anche con un click, eludono qualsiasi controllo genitoriale e soprattutto non si accompagnano più necessariamente a condotte e frequentazioni devianti. Troppo spesso i giovani vengono fagocitati da una società che trasforma gli altri in cose da usare e gettare, in uno spaventoso meccanismo capace solo di omologare e sminuire anziché considerare ogni persona unica e irripetibile, da apprezzare e amare. La cultura contraria alla vita che sta dietro il primo business mondiale illegale si struttura in una filiera che dal grande trafficante arriva allo spacciatore di quartiere passando attraverso le complicità e le connivenze di astuti influencer di morte che contrabbandano per libertà la peggior forma di asservimento. Ma se questi due adolescenti fossero stati i figli di uno scintillante sponsor dello sballo, cosa direbbero adesso? Tutti coloro che continuano a fomentare, anche all’interno delle istituzioni, la deriva antiproibizionista, ricordino che, evangelicamente, il sangue degli innocenti ricade sempre su chi lo ha versato.

*Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII
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