Se la testa di un’impresa emigra si perde il legame con il territorio

Se la testa di un’impresa emigra si perde il legame con il territorio

di Donato Iacobucci
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Mercoledì 29 Novembre 2023, 06:00

Il direttore Ferruccio de Bortoli è più volte intervenuto negli ultimi anni per richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica e dei policy maker sulle vicende delle grandi imprese nazionali. L’ultimo suo intervento ha riguardato la Magneti Marelli. Storica impresa italiana, leader nella componentistica per auto, ceduta nel 2019 da Fiat Chrysler Automobiles (ora parte del gruppo Stellantis) alla giapponese CK Holdings, a sua volta controllata da un fondo di investimento statunitense. Nel ricostruire le circostanze dell’operazione Ferruccio de Bortoli ricorda che l’allora ministro Carlo Calenda cercò di persuadere FCA a non cedere la Magneti Marelli e, in seconda battuta, cercò di organizzare una cordata di imprenditori italiani guidati dalla Brembo

Questa seconda possibilità non si concretizzò anche per la rilevante entità finanziaria dell’operazione: 6 miliardi di Euro. Lo scorso settembre il gruppo Marelli ha annunciato l’intenzione di chiudere lo stabilimento di Crevalcore vicino Bologna, uno dei 14 stabilimenti posseduti dal gruppo in Italia, su un totale di 170 unità locali sparse a livello internazionale. E’ possibile che anche una proprietà e un management nazionale avrebbero seguito le stesse logiche degli investitori stranieri.

La questione, si sostiene, non ha a che fare con la nazionalità della proprietà ma riguarda l’attrattività del nostro paese per gli investimenti, indipendentemente dal fatto che si tratti di capitali nazionali o esteri. Questo argomento è sicuramente valido. E’ tuttavia innegabile che la perdita di controllo di grandi imprese può produrre effetti negativi sulla capacità di mantenere attività produttive sul territorio nazionale. Se non altro per il fatto che con la proprietà vengono generalmente spostate all’estero le funzioni di alto livello, associate al controllo e al top management. La “testa” in sostanza è spostata all’estero e l’Italia diventa uno dei tanti paesi in cui si opera.

Già questo configura un impoverimento del territorio, sia esso regionale o nazionale, poiché vi rimangono solo le funzioni operative. La questione posta da Ferruccio de Bortoli a proposito del gruppo Marelli non è però relativa solo alle vicende di una grande impresa.

Si estende al settore e alla filiera di cui quell’impresa fa parte. Nella fattispecie il settore dell’automobile. Ma potremmo citare anche quello degli elettrodomestici bianchi, che interessa da vicino la nostra regione. Entrambe le filiere si stanno progressivamente impoverendo nel nostro paese, anche a causa del passaggio in mani straniere delle principali imprese, capaci di controllare le rispettive filiere. E’ probabile che FCA nell’automobile o Indesit Company e Candy negli elettrodomestici avessero poche possibilità di rimanere autonome nel mercato globale e vi fosse quindi la necessità di realizzare fusioni con altri player a livello europeo o mondiale. La questione è come vengono realizzate queste operazioni e con quali esiti.

Nelle vicende che hanno riguardato queste due filiere, dell’automotive e dell’elettrodomestico bianco, il nostro paese ha dato l’impressione di non avere una chiara strategia di politica industriale né di disporre di strumenti adatti ad intervenire, né della volontà politica per poterlo fare in modo efficace. Parte di queste difficoltà derivano forse anche dalla memoria dei disastri combinati negli ultimi decenni dall’intervento pubblico per far sopravvivere imprese inefficienti (vedi il caso Alitalia) piuttosto che per orientare gli investimenti verso settori strategici e con possibilità di crescita.

La memoria degli errori dovrebbe però servirci per cambiare rotta e migliorare e non per bloccarci. L’argomento è complesso poiché non si può certo pensare di tornare ad un massiccio intervento pubblico nella proprietà delle imprese; che peraltro la situazione delle nostre finanze pubbliche renderebbe problematico. Non si tratta però solo di interventi finanziari, ma anche di strategie, strumenti e volontà politica. Le grandi imprese sono uno straordinario patrimonio collettivo e alle loro vicende, come ricorda Ferruccio de Bortoli, andrebbe prestata maggiore attenzione, sia dall’opinione pubblica sia dai policy maker. 

*Docente di Economia all’Università Politecnica  delle Marche e coordinatore della Fondazione Merloni

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