Come gli oggetti tecnici cambiano le espressioni gestuali giovanili

Come gli oggetti tecnici cambiano le espressioni gestuali giovanili

di Rossano Buccioni
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Martedì 19 Gennaio 2021, 11:07

Intervistato dal Corriere Adriatico, il prof. Marcello Tavio, infettivologo presso gli Ospedali Riuniti di Ancona, in merito ad una probabile terza ondata epidemica, ha dichiarato “che i giovani vanno responsabilizzati perché devono salvare il lavoro dei padri”, mentre la scrittrice Romana Petri, ha dichiarato che la generazione dei Nerd spesso esagera dovendo contrastare ciò che sente come male assoluto: la noia. Il sociologo Stefano Laffi sconsiglia di privilegiare la cronaca come fonte per farsi un’idea generale sui giovani d’oggi perchè i dati statistici che emergono non forniscono un campione rappresentativo degli atteggiamenti tipici della condizione giovanile. “I giovani risultano spesso esiliati dal presente e li vediamo sempre più rappresentati socialmente non per quello che sono, bensì per quello che non fanno. Abbiamo uno sguardo normativo rispetto all’infanzia e all’adolescenza, quindi tendiamo a isolarne i deficit e le inadempienze, anziché coglierne i valori di divergenza e creatività”. La creatività può essere concepita come scarto tra ciò che è e ciò che sarà, realizzandosi come esito di azioni innovative nate per esprimere visioni ed aprire orizzonti. La dimensione della creatività certamente concerne l’universo giovanile, specie nella società globale dove il mutamento strutturale accelerato pone l’esigenza di innovare rispetto alle soluzioni adottate per governare l’aumento di complessità. Tuttavia, la creatività giovanile fa i conti con fenomeni sorprendenti che nelle società tardo-moderne, rinviano a processi innescati dai fenomeni dell’accelerazione e della flessibilizzazione diffuse. I sociologi della temporalità sostengono l’impossibilità di ottenere reali cambiamenti sociali perché viviamo in una sorta di “stasi iper-accelerata”. Questa condizione paradossale, una sorta di accelerazione bloccata, ne svela un’altra centrata sulla promessa di eternità come motore di significato. Oggi per “vita buona” intendiamo la vita realizzata, ricca di esperienze e di capacità, rincorrendo la realizzazione del maggior numero di opzioni tra le innumerevoli possibilità di azione offerte dal sistema sociale. Ma se la vita va sperimentata ed apprezzata in tutte le sue forme, alla fine il mondo avrà sempre molto più da offrire di quanto si possa sperimentare in una singola esistenza. Il noto tema del rapporto tra il weltzeit (tempo del mondo) ed il lebenzeit (tempo di vita del singolo), entra nell’auto-percezione dei giovani: pieni di risorse, ma risucchiati nella logica delle “aspettative di aspettative”, patiscono un senso di smarrito impoverimento che sarà tanto più forte, quanto più alte saranno le attese di comportamento legate ai modelli di riferimento ed all’ambiente sociale. Anche se, in riferimento al quadro valoriale, tra giovani e adulti si confermano condivisione e sintonia nel rappresentare gli elementi-cardine della transizione verso l’adultità, sempre più spesso emerge una certa distanza tra la condivisione ideale e le pratiche concrete, con la tendenza ad abolire le fasi di passaggio e con la dimensione del non schooling che si costruisce sempre più sul depotenziamento delle istituzioni formative e sull’incremento delle agenzie di socializzazione informale.

La condizione adulta non sembra poter intervenire dall’interno di un “Telic system” (significati ultimi) per proporre nuove dinamiche di interiorizzazione/individualizzazione alla persona giovane, sul cui sentimento di impoverimento/ estraneazione operano insidiose “trappole depressive”, dato che, di solito i giovani sono quelli che non agiscono o quelli di cui ci si ricorda solo quando ci sono episodi di violenza, prigionieri di una rappresentazione centrata su un senso di inadeguatezza prodotto dalla logica sociale delle “profezie che si auto-adempiono”. In tale condizione sociale assume un particolare rilievo l’esperienza simbiotica con le nuove tecnologie, divenuta così pervasiva ed intensa, da determinare una specifica influenza nel ridisegnare non solo le tecniche di appropriazione degli strumenti cognitivi e delle forme di apprendimento dei giovani, ma anche nel ridefinire la loro collocazione spaziale e temporale. Tuttavia il privilegio derivante dall’essere un nativo digitale rischia di rovesciarsi in una condizione di assorbimento tecnologico, all’insegna di quella che, in una indagine conoscitiva dell’Università Cattolica di Milano, veniva definita “individualizzazione stagnante”, senza prospettive e soprattutto senza il desiderio di lasciare traccia di sé. Un indicatore della pressione esercitata sui giovani dalla c.d. dominanza tecnologica è la trasformazione gestuale che stanno manifestando. Pollice all’orecchio e mignolo alla bocca a simulare una telefonata o il dito sul polso per chiedere l’ora, sono gesti apparentemente ovvi, ma ormai ignorati dai giovani che pagano in modalità contactless e non portano l’orologio perchè il loro rapporto con il tempo, sostituisce l’immersione in nuove dimensioni di senso la scansione tra un prima ed un dopo. Quei gesti che prima servivano per capirsi stando lontani, oggi, al contrario, sottolineano un divario tra generazioni, con la comunicazione gestuale che vede eclissarsi alcuni simboli per selezionarne di nuovi. Si mimano digitazioni su supporti accennati lasciando intendere che si manderà una mail, oppure si muove il dito dall’alto in basso per invitare a scorrere un testo: i gesti sembrano stravolti dall’intensificazione sociale di alcuni oggetti tecnologici, in primis il telefono. Nella progettazione di una miriade di oggetti di largo consumo, non si considerano più né l’uomo né il suo gesto, assecondando la logica per cui non si deve fare l’oggetto per l’uomo, ma è l’uomo per l’oggetto.

*Sociologo della devianza e del mutamento sociale

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