Il presidente settore calzature in Confindustria Centro Adriatico: «Tra virus, Brexit e zero credito resistiamo, ma è dura»

L'imprenditore Valentino Fenni
L'imprenditore Valentino Fenni
di Massimiliano Viti
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Mercoledì 6 Gennaio 2021, 10:51

ANCONA - Valentino Fenni è presidente della sezione calzature di Confindustria Centro Adriatico e vice presidente Assocalzaturifici: che 2021 si aspetta?

«Mi aspetto che si arrivi alla fine del tunnel. Per le aziende sarà importante resistere: quello che è accaduto nel 2020 influenzerà diversi anni successivi. Da un lato sono ottimista, perché quando la situazione tornerà alla normalità ci sarà voglia di spendere, ma purtroppo devo essere realista e dire che è facile prevedere molte chiusure di aziende. Così come molti licenziamenti. Potremo trovarci di fronte ad un problema sociale. Dobbiamo essere aiutati, ma le nostre richieste non sono ascoltate dalle istituzioni».

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Lei è anche titolare della Dada Srl, di Grottammare. I calzaturifici marchigiani saranno pronti per intercettare la ripresa?
«Me lo auguro. I problemi da affrontare sono molti».

Quanti clienti e fornitori spariranno? 
«Ci dicono sempre che siamo piccoli e che dobbiamo unirci, ma purtroppo non è nella nostra mentalità. Infatti stentiamo a realizzare questo progetto. Ma dico pure che le grandi imprese non stanno andando meglio delle piccole».

Le vendite online possono rappresentare una soluzione o sono solamente un rimedio temporaneo alle mancate vendite?
«Nel 2020 c’è stato un boom.

La pandemia ci ha spinto verso la digitalizzazione. Abbiamo investito ma vedremo i primi risultati tra un anno o due. Portare le Pmi su Alibaba o su Amazon non credo sia la soluzione perché il cliente finale appartiene al marketplace e non al calzaturificio. Forse dovremmo pensare ad un portale per nostro conto. Comunque ritengo le vendite online un supporto al metodo tradizionale fisico. Un conto è vendere le scarpe attraverso una fotografia, un conto è toccare con mano il prodotto».

Attualmente la Cina è l’unico mercato che acquista. 
«Ma non le nostre scarpe. È un mercato potenziale soltanto per pochi brand, quelli più conosciuti e attrezzati. E poi ci sono altri problemi come la registrazione del marchio».

Ci mancava la Brexit.
«Un altro problema, ma non l’ultimo. Per ora c’è confusione con la documentazione da presentare. Dovremo tutti prepararci. Ma abbiamo tempo perché nel Regno Unito i negozi sono chiusi per la pandemia».

A quale altro problema allude?
«Al credito. Le nuove regole sempre più stringenti sullo sconfinamento dei conti correnti. Sono sempre i piccoli a farne le spese. Ho due proposte. La prima è quella di reinserire la possibilità di girata degli assegni bancari. La seconda è quella di fare un rating di filiera. Le banche non devono guardare solo il bilancio, ma anche voci, come clienti, fornitori e altro».

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