Jesi, ecco la fiamma di Focotto: «Così ho sconfitto la crisi»

Jesi, ecco la fiamma di Focotto: «Così ho sconfitto la crisi»
Jesi, ecco la fiamma di Focotto: «Così ho sconfitto la crisi»
di Francesca Pasquali
4 Minuti di Lettura
Venerdì 24 Gennaio 2020, 11:35 - Ultimo aggiornamento: 12:28

JESI - Che c’è di meglio del tepore del fuoco di un camino, quando è inverno e fuori piove? Bello, suggestivo e rilassante, fa subito casa. E non sarebbe fantastico trasportare quest’atmosfera all’aperto? Detto, fatto. Ci ha pensato Focotto, una start up di Jesi che da cinque anni realizza prodotti per riscaldare gli ambienti esterni, senza perdere l’intimità domestica. Tutto parte da un’intuizione del geometra Carlo Capecci che, grazie al fuoco, ha trovato il modo di portare la convivialità di una tavola imbandita in terrazzo o in giardino, anche quando piove o, addirittura, nevica. 

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L’esperimento funziona
La start up parte nel 2015. Dagli schizzi su carta nasce Focotto, il primo prodotto del marchio. «Un punto d’incontro per stare insieme di fronte al fuoco come si faceva una volta», spiega Capecci. Banalizzando, si tratta di un ombrellone con basamento, tavolino e sedie. Ti siedi in circolo e ti lasci riscaldare dalla fiamma alimentata a metano o gpl, senza il fastidio del fumo addosso, visto che esce da sopra la copertura. L’esperimento funziona. Il prodotto piace, l’imprenditore ci prende gusto e arriva Fumotto. Un cono alto poco più di due metri, sempre da esterno, alimentato però a legna, per «assaporare l’odore dei ceppi che scoppiettano». È formato da uno spesso foglio di lamiera piegato a forma di cono che, riscaldandosi, emana calore. Anche in questo caso il fumo va verso l’altro, perché la base può essere orientata a seconda del vento. Per renderlo un camino da esterno a tutti gli effetti, è stato dotato di una griglia da barbecue. 

Il riconoscimento 
Nel 2016, il prodotto vince il premio Compasso d’oro all’Art Design di Milano. Il riconoscimento spinge Capecci ad andare avanti. E, se il cono da esterno funziona, perché non portarlo in casa? Ecco così Conotto, versione “mignon” del fratello maggiore, realizzato in più colori per sposarsi meglio con l’arredo domestico. È un cono in acciaio alimentato a bietanolo, «un combustibile ecologico che può essere utilizzato in ambienti interni e che, bruciando all’interno, ha la stessa funzione di quello grande». Cioè riscalda, ma non tantissimo. Un paio di gradi in più rispetto alla temperatura dell’ambiente. Per usarlo, non serve la canna fumaria. Può essere appoggiato a terra o appeso al muro. Passano i mesi e la start up non solo resiste, ma cresce. 

L’ultima creatura
La rete commerciale si allarga, soprattutto nel nord Italia. Dove, nelle zone di montagna, d’inverno, il freddo non manca. Davanti alle baite arriva il quarto nato di casa Focotto: Hugfire «il falò da esterni che si trova davanti ai ristoranti, ma vestito per la domenica». Cioè, più bello. «Un prodotto elegante e di qualità, facilmente trasportabile e nato per durare nel tempo», spiega l’imprenditore. L’ultima creatura della start up Airoof: un pergolato modulare, per ripararsi dal sole o dalla pioggia. Ovvero una copertura che si regge su due sostegni laterali. Come Focotto, per essere istallato, non ha bisogno di autorizzazioni. Entrambi i prodotti, infatti, sono completamente removibili e, non necessitando di ancoraggi a terra, quindi non fanno volume urbanistico. La start up che per ora dà lavoro a cinque dipendenti e che l’anno scorso ha partecipato alla Smau, selezionata tra le migliori aziende innovative marchigiane, ora pensa al futuro e ad ampliare la rete commerciale. Prima nel sud Italia, poi in Germania, Svizzera e Francia, dove il marchio è già noto. «Abbiamo una richiesta anche da una catena di alberghi della Nigeria», fa sapere Capecci che si dice «soddisfatto per aver superato i cinque anni di vita, visto quanto durano in media le start up». 

La soddisfazione
«Lo ritengo un successo - prosegue - perché i prodotti sono tutti ideati da me e sono tutti completamente marchigiani, realizzati da ditte rimaste con meno lavoro dopo la crisi del bianco di Fabriano.

Abbiamo fatto tutto da soli, dal pubblico non abbiamo avuto assolutamente nulla. Si sente spesso parlare di aiuti alle start up, ma poi, di concreto, si fa ben poco. Ma noi marchigiani siano duri a morire».

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