Nel frattempo rompe definitivamente con l'Udc ordinando la cacciata dei centristi dalle giunte locali. Il premier sulle inchieste è un fiume in piena: denuncia la «lobby antiberlusconiana» (composta da procure, giornali e alcuni talk show) che si muove «di concerto» per eliminarlo. Lo fa, sostiene, con inchieste «farsesche, inaccettabili e degne della Germania Comunista».
Parla di «golpe morale», di «toni puritani» contro un «presidente galantuomo» e sottolinea come l'espressione «eversione politica» sia un «giudizio tecnico», non certo uno «sfogo irresponsabile». Il tentativo di liberarsi di lui, assicura, non funzionerà non solo perchè alla fine troverà un «giudice a Berlino», ma anche perchè «in una democrazia il giudice di ultima istanza è il popolo elettore». Berlusconi rilancia poi sull'immunità parlamentare. Consapevole che l'argomento piace poco agli italiani, si limita a lodare i padri costituenti che «saggiamente» avevano stabilito un «filtro» tra i poteri. Ma fa depositare a Peppino Calderisi un ddl costituzionale per tornare al vecchio articolo 68 della Carta. Infine, pur riconoscendo di essere anche lui un «peccatore» (ammissione ridimensionata dalla premessa «qualche volta»), attacca la «giustizia moraleggiante» di quanti vogliono solo farlo fuori per ottenere una «democrazia autoritaria» e mandare al potere una «elite».
A cominciare dai processi. La strada per bloccare i pm milanesi, al momento, sarebbe quella seguita per Altero Matteoli: ovvero sollevare il conflitto di attribuzione tramite il governo. Ogni decisione, però, è rimandata in attesa del Gip, che dovrà decidere sul giudizio immediato. Anche l'ipotesi di un decreto sulle intercettazioni, da lui stesso fatta trapelare (pur sapendo che aveva poche o nulle possibilità di riuscita) viene ritirata. Prima Fabrizio Cicchitto, poi Angelino Alfano negano addirittura sia mai stata sul tavolo. Il nodo più grosso per il premier, oltre ai processi ovviamente (e non solo quello legato a Ruby), è infatti il rapporto con il Quirinale. Berlusconi ha rinunciato a salire al Colle. Dopo lo stop di Giorgio Napolitano, sarebbe stata una forzatura, che Gianni Letta ha caldamente sconsigliato. Il sottosegretario ha comunque mediato riaprendo la pratica che potrebbe portare a breve ad un faccia a faccia tra i due presidenti. Ma il problema resta: il Cavaliere «deve decidere che atteggiamento tenere verso il Colle», confida un dirigente del Pdl. Se cioè continuare ad accettare di dover negoziare con lui ogni provvedimento (compresi quelli sulla giustizia) oppure provare a forzare la mano. Il timore fra le colombe del Pdl (Letta in testa) è che una decisione negativa del Gip faccia precipitare le cose. E in quel caso non è escluso che Berlusconi chieda al capo dello Stato di intervenire per ristabilire quella leale collaborazione fra poteri che secondo il Pdl è stata violata.
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