ASCOLI - I numeri parlano chiaro. Sono inequivocabili. Il lockdown della scorsa primavera per l’emergenza Covid ha provocato una brusca frenata sul fronte dell’economia locale, immobilizzando per circa tre mesi migliaia di attività e di lavoratori.
Congelando, di conseguenza, importanti fatturati e provocando, in un clima di timore per il futuro, una forte contrazione dei consumi. Sono spietati quanto realistici i dati elaborati dall’Istat che analizzano proprio l’effetto economico del lockdown sulle varie realtà territoriali.
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I numeri
Basti pensare che ad Ascoli città, durante la chiusura totale per il Covid, a fermarsi del tutto sono state 476 attività industriali e produttive (aziende con un fatturato complessivo in condizioni di normalità calcolato in oltre 416 milioni di euro), con 2.558 addetti (tra cui 2.119 dipendenti che presumibilmente sono finiti in cassa integrazione) rimasti a casa in attesa che si potesse ripartire. Un dato che pesa ulteriormente è quello, sempre relativo al capoluogo piceno, che riguarda le attività di servizi (con un fatturato complessivo calcolato in oltre 88 milioni di euro) bloccate dallo stop imposto dal Governo per l’emergenza Covid: si tratta di 1.383 aziende con a carico 3.488 addetti, tra cui 2.015 dipendenti. Scenario analogo quello a San Benedetto, con 484 attività industriali-produttive “congelate” durante il lockdown con 1.221 addetti, tra cui 781 dipendenti, rimasti temporaneamente a casa oltre a 2.481 attività di servizi, con 6.032 addetti (di cui 3.456 dipendenti), che hanno subìto la stessa sorte.
L’effetto del lockdown
Sono numeri eloquenti, quelli elaborati dall’Istat, che testimoniano il grave contraccolpo che l’economia locale ha accusato per la pandemia e che si incrociano con quelli di uno studio della Banca d’Italia dal quale risulta che, nei settori del tessile e dell’abbigliamento (sia per attività di produzione che di servizi), su 13.280 addetti occupati nel distretto occupazionale di Ascoli (ovvero l’ambito del Centro per l’impiego), ben 5.896 (il 44,4%) sono coloro che sono rimasti al palo durante il lockdown, lavorando per aziende che hanno dovuto chiudere.
L’analisi di Confcommercio
«La situazione appare devastante, con grande incertezza sulle prospettive – commenta Costantino Brandozzi della Confcommercio di Ascoli. – Dai dati relativi al lockdown ad oggi, non si vede ancora una via di uscita e questo perché c’è troppa incertezza. Oggi la vita delle nostre imprese è rientrata in uno scenario basato sui colori che rischiano di cambiare addirittura ogni settimana o ogni 15 giorni. E questo crea problemi per gli acquisti dai fornitori, per la programmazione. Nello specifico, i ristoranti, ad esempio, non riescono ad organizzarsi e molte attività sono a piedi proprio per una mancanza di punti di riferimento. Inoltre i ristori non sono tali da garantire una copertura delle spese a fronte di incassi che si sono ridotti del 60-70%».