ANCONA - I numeri non mentono. O forse sì. Perché non ci si può fermare all’apparenza, al luccichio dei fuochi d’artificio o riflettori di un palco. Le 2500-3000 presenze davanti al teatro delle Muse sono un dato incoraggiante ma non sufficiente per sedersi sugli allori. Va analizzato, scorporato, interpretato: chi c’era in piazza al Capodanno? Gli anconetani? Pochi. I giovani? Anche meno. E i locali? Molti sono rimasti chiusi, per scelta o per necessità. «È mancato il coinvolgimento, per certi eventi serve una regia strutturata», sostengono baristi, ristoratori e tutti gli esercenti che non hanno risposto presente all’appello del Comune. Perché, forse, non bastano gli appelli per rendere davvero accogliente una città.
La scelta contestata
Dov’erano i giovani a Capodanno? Ovunque, ma non davanti alle Muse.
Il confronto mancato
«Veniamo completamente ignorati dal Comune» critica Simone Boari di Rosa Food. «Sì, avremmo potuto restare aperti l’ultimo dell’anno, ma nessuno ce l’ha chiesto, nessuno ci ha coinvolto: serve un confronto diretto con i commercianti e le associazioni - spiega -. Ma non una settimana prima. Certi eventi si fanno con 3 mesi d’anticipo, se uno davvero ci crede, perché noi sosteniamo costi altissimi e non si ha successo con l’improvvisazione». Boari getta lo sguardo oltre gli eventi-clou. «C’è bisogno di un calendario continuativo di iniziative - sottolinea -. Ma soprattutto, servono servizi. Il centro è senza bagni pubblici, la zona pedonale è carente da tutti i punti di vista. Ed è inutile portare fiumi di persone con le iniziative di Natale se poi non si sa come accoglierle, dove farle parcheggiare, dove indirizzarle in una città dall’accessibilità complicatissima. Mi auguro che la prossima Amministrazione metta mano una volta per tutte al tema della vivibilità del centro, sempre meno funzionale, magari sfruttando il porto come valvola di sfogo per la viabilità, almeno in occasione dei grandi eventi».