«Sei una donna, parli quando lo dico io»: botte alla compagna, papà rom a processo con i genitori stalker

La famiglia rom verrà processata nel tribunale di Ancona
La famiglia rom verrà processata nel tribunale di Ancona
di Stefano Rispoli
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Mercoledì 23 Giugno 2021, 05:45 - Ultimo aggiornamento: 06:22

ANCONA - «Sono io l’uomo, comando io. Tu stai zitta, se no sai come va a finire: parli quando te lo dico io, non decidi tu, sei falsa». E poi giù minacce e botte, come quelle ricevute al terzo mese di gravidanza, schiaffoni così forti da farla cadere sul pavimento. O come quella volta in cui, passeggiando con il bimbo sul lungomare di Marzocca, l’ha aggredita, immobilizzata a terra e di nuovo colpita al volto (5 giorni di prognosi). Era il luglio 2020. «Ti giuro sui miei, sulla razza mia, su mio padre: se ti ritrovo qui quando torno, ti fracasso di botte», l’avrebbe minacciata al culmine di un’altra lite, qualche mese dopo. 


L’incubo della 26enne senigalliese, assistita dall’avv. Alessandro Calogiuri, è durato fino al novembre 2020, quando in lacrime si è rivolta alla Squadra Mobile di Ancona e ha chiesto di essere collocata insieme al figlio in una struttura protetta. La giovane mamma ha trovato la forza di denunciare il compagno, un rom falconarese, dopo oltre un anno di inferno.

Lui, 24enne, ieri è stato rinviato a giudizio dal gip per maltrattamenti, lesioni e minacce insieme ai genitori 44enni, questi ultimi accusati di stalking: la chiamavano “gaggia”, dal termine “gagé” che in lingua romanì identifica in modo dispregiativo chi non appartiene alla dimensione rom.

I “suoceri” e il loro figlio (i primi difesi dall’avv. Matteo Bettin, il giovane dall’avv. Stefano Gerunda) pretendevano che la 26enne si adeguasse allo stile di vita rom. Erano i nonni paterni a decidere come crescere il bambino, che ora ha due anni: secondo l’accusa, le consentivano di avvicinarsi al bimbo solo per allattarlo. Poi la allontanavano e le impedivano anche di consultare un pediatra perché loro stessi intendevano provvedere al piccolo anche per problemi di salute.

Non solo: nel corso del tempo avrebbero molestato e minacciato la ragazza, costretta prima a rifugiarsi dalla madre e poi dai nonni, quindi in una casa protetta, dopo aver sporto denuncia anche nei confronti del compagno che le rendeva la vita impossibile, controllando quotidianamente il suo cellulare e i social a cui è iscritta. Accecato dalla gelosia, le vietava di comunicare con altri uomini.

«Mi hai rovinato la vita, è colpa tua se non lego con mio figlio: non ti sta bene niente della mia famiglia», la accusava. E poi botte e minacce, mentre i genitori si appostavano davanti all’abitazione della madre e dei nonni della 26enne per convincerla a tornare con il figlio, a colpi di citofono e clacson. Nei confronti della famiglia rom è stato emesso un divieto di avvicinamento alla giovane mamma e al figlio. Lei si è costituita parte civile, chiedendo un risarcimento di 50mila euro. Per il compagno e i “suoceri” il processo comincerà il prossimo 14 ottobre. 

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