I presidi sul caso del 14enne precipitato dal Savoia: «La scuola mai più sola, noi chiamati in causa solo nelle emergenze»

I presidi sul caso del 14enne precipitato dal Savoia: «La scuola mai più sola, noi chiamati in causa solo nelle emergenze»
I presidi sul caso del 14enne precipitato dal Savoia: «La scuola mai più sola, noi chiamati in causa solo nelle emergenze»
di Maria Cristina Benedetti
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Giovedì 22 Febbraio 2024, 03:45 - Ultimo aggiornamento: 23 Febbraio, 07:20

ANCONA - Mette in relazione l’intelligenza emotiva con quella razionale, Giulietta Breccia. Puntualizza, l’ex preside storica del Classico Rinaldini e fondatrice del liceo musicale, che la prima genera la seconda. Arriva al nucleo della riflessione, sollecitata dal dramma del 14enne che s’è gettato dalla finestra della sua classe, per un’interrogazione andata male. «Il tema della valutazione rigorosa, ormai inadatta, sono anni che lo affrontiamo».

Fissa il limite, l’ex dirigente: «È molto difficile educare senza porre delle mete da raggiungere».

Subito la fa tendere all’infinito quella linea di demarcazione: «Oggi quei traguardi devono essere sempre più individuali, è necessario ascoltare i ragazzi, capire le loro istanze».

Il paradigma

Torna a mescolare l’elemento cognitivo con quello emozionale, tenta di cambiare il paradigma dei voti: «I numeri sono perentori, il giudizio descrittivo dà l’indicazione per farcela». Una missione che per i docenti si complica: «In passato erano chiamati a formulare una disamina sulla disciplina di loro competenza, valutavano sulla base dei risultati raggiunti o mancati. Ora devono cogliere gli aspetti emotivi che sottendono a quelle prestazioni». Dalle ferite dell’anima non si sfugge: «I giovani - lo incide a fuoco - sono più fragili, è riconosciuto in tutto il mondo, anche in Cina e Giappone, dove la competitività è ai massimi livelli».

Il ragionamento

Cambiare è il suo imperativo. «Pensi - riannoda il filo del ragionamento - alla rivoluzione dei social media. I ragazzi sono sempre più soli, vogliono esserlo, è un modo di ribellarsi alle richieste che fanno loro». Imposta l’equazione: isolamento, disperazione, sentirsi falliti. Un orizzonte sul quale si staglia lo spettro d’un insuccesso che, portato alle estreme conseguenze, può convincere un ragazzino a rimediare con un gesto estremo.

Il tavolo

È qui che invoca unità d’intenti, Alessandro Impoco. Il preside del Panzini di Senigallia immagina la rotta: «C’è bisogno che la scuola non sia lasciata sola. C’è necessità che venga istituito un tavolo permanente al quale devono accomodarsi anche coloro che sono fuori dal sistema della formazione. Perché siamo noi ad avere il polso del disagio giovanile». Un appello, quello del dirigente scolastico, rivolto alle istituzioni, tutte. Si affida a un elenco, che vale una chiamata all’appello: «Regione, Provincia, procura, forze dell’ordine dovrebbero chiederci, preventivamente, di cosa abbiamo bisogno per sostenere e andare oltre i turbamenti degli adolescenti». Lancia i razzi d’avvistamento: «Non devono chiamarci in causa solo quando c’è l’emergenza». No, non transige.

Imposta il navigatore, Fabiola Fabbri. Modifica le coordinate, la preside dello Scientifico Da Vinci di Jesi: «È necessaria una riflessione sulla modalità di valutazione, al di là della contingenza. È nostro dovere adeguarci a una utenza che non è più quella di cinque anni fa». Precisa: «Non importa il metodo, la scuola dev’essere innanzitutto elemento di formazione».

Per lei non conta il punto di partenza, ma quello di arrivo, perché il malessere lo tocca con mano, nella sua quotidianità di dirigente scolastica: «Il disagio tra i ragazzi è aumentato, sono sempre più frequenti gli attacchi d'ansia, le paure, ma è pur vero che anche le famiglie sono sempre più in crisi. Il contesto sociale non aiuta, c’è molta precarietà e liquidità»

Come spugne emozionali, genitori e fanciulli sono dalla stessa parte della barricata. Lo va ripetendo, dalla sua nicchia di banchi, aule e corridoi. Secondo la classifica Eduscopio, che indica i migliori istituti d’Italia, quello che dirige è al vertice nelle Marche. «Il dato mi rende felice, ma il merito non è mio. È un insieme di fattori che determina il successo: ragazzi, famiglie, prof». Quel felice interagire, in direzione futuro.

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