ANCONA - «La presenza in discoteca non è indice di responsabilità e correità. Il fatto che si siano trovati in uno stesso ambiente non deve portare necessariamente a dire che tutti gli imputati concorrevano tra di loro». Sono i tratti della linea difensiva adottata da Alessandro Cristofori, avvocato di Badr Amouiyah, uno dei sei ragazzi della Bassa Modenese finito a processo per la strage avvenuta alla Lanterna Azzurra di Corinaldo, la notte tra il 7 e l’8 dicembre 2018. Quella di Cristofori è stata l’ultima arringa che si è tenuta davanti al gup Paola Moscaroli, nell’ambito del processo in cui si procede con il rito abbreviato. Giovedì prossimo, dopo le eventuali repliche delle parti, è prevista la sentenza.
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La scorsa udienza, si erano difesi, tramite i loro avvocati, gli altri cinque imputati: Ugo Di Puorto, Raffaele Mormone, Andrea Cavallari, Moez Akari e Souhaib Haddada. Tutti hanno negato l’appartenenza a una banda, rigettando la contestazione dell’associazione a delinquere. L’arrivo a Corinaldo di tutti e sei i ragazzi, presumibilmente per fare man bassa di catenine d’oro? Una casualità. E tutti hanno scansato l’accusa di aver utilizzato la bomboletta di spray al peperoncino o di essere a conoscenza della presenza del flacone all’interno del locale. Anzi, due imputati (Haddada e Di Puorto) hanno gettato ombre proprio su Amouiyah, ipotizzando che fosse stato l’italo-marocchino a svuotare la sostanza urticante all’interno della Lanterna Azzurra.
Strage di Corinaldo, fine delle parole: resa dei conti per la banda dello spray. Sentenza fissata al 30 luglio

di Federica Serfilippi
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Venerdì 24 Luglio 2020, 06:45
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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