Ospedali Riuniti, crociata contro i no-vax: sospesi dal lavoro senza paga quattro sanitari. Il quinto si converte e si vaccina

L'ospedale di Torrette
L'ospedale di Torrette
di Maria Cristina Benedetti
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Giovedì 12 Agosto 2021, 02:55 - Ultimo aggiornamento: 9 Marzo, 06:44

ANCONA - Quattro sospesi, mentre un quinto si converte in extremis alla logica del vaccino anti-Covid. Dopo due giorni di ferie forzate, per gli operatori sanitari e portinai, ai quali erano arrivate dalla cabina di regia degli Ospedali Riuniti le lettere perché non vaccinati, si passa all’azione. Detto, fatto. Il terzo giorno, nell’impossibilità di individuare una idonea ricollocazione, sono stati allontanati dal servizio fino al termine dell’anno, col blocco dello stipendio.

 

Un destino ribaltato solo per colui che ci ha ripensato. La determina è stata firmata ieri pomeriggio, lo stesso giorno in cui a Torrette a mensa si entrava solo con il Green pass, in virtù di un documento di poche righe fatto circolare la sera prima e che ha fatto indignare una sigla sindacale. La Laisa. Tradotto: Lavoratori indipendenti della salute. 
Uno su cinque s’è convinto. Il passare alla fase operativa nei confronti del personale no vax vuol essere azione di stimolo e non atto punitivo. Per dirla con le parole di Antonello Maraldo e seguendo i passaggi della legge 76, che recepisce il decreto numero 44 dello scorso aprile: obbligo vaccinale per chi opera, a vario titolo, nelle trincee sanitarie. Con l’inevitabile conseguenza: stabilire come gestire coloro che hanno espresso la volontà di non arginare i rigurgiti pandemici con la profilassi anti-Covid. Un procedere caso per caso che, in questa prima fase, ha lasciato a casa quattro persone. Una s’è convertita. 
Tanto rumore per nulla. Il direttore amministrativo concilia sul fronte dell’obbligo di passaporto vaccinale per accomodarsi nella mensa aziendale. «Fino a venerdì adotteremo un approccio graduale per favorirne la piena applicazione - avverte - e poi, come è scritto nella circolare interna, resta salva la possibilità, per chi è sprovvisto di certificazione verde, di prenotare il pranzo da asporto». Si fa forte dei numeri, il direttore. «Il 90% di chi opera in questa azienda ospedaliera è vaccinato». Ragioni che, tuttavia, non passano per la Laisa. «Nell’esprimere la più profonda amarezza e intensa distanza da tale provvedimento si chiede, sin da subito - tuona il presidente regionale e nazionale del sindacato Enzo Palladino - l’applicazione dell’istituto contrattuale della mensa, ovvero concedere la possibilità ai dipendenti – che non hanno una certificazione verde o non hanno voglia di esibirla - modalità sostitutive come il buono mensa». L’attacco prosegue per altre vie: «Al garante viene chiesto se la procedura aziendale sia conforme ai principi e alla normativa della privacy dei dati personali e sensibili».
Maraldo taglia corto. «Abbiamo solo applicato una norma nazionale».

Poi, si appella alla logica: «Che differenza c’è tra la nostra mensa e un ristorante con i posti al chiuso? Nessuna. Quindi ritengo che la necessità del pass sia uguale per tutti». Arriva alla sintesi: «Credo che i contenuti di questa protesta non siano propositivi, né costruttivi. Potrebbe essere voglia di acquisire visibilità». Il terreno di scontro si dilata.

 

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