Choc settico, muore un papà di 35 anni: la famiglia contro l’ospedale. Torrette pagherà 1,3 milioni

Chemio infusa al 35enne per un linfoma non-Hodgkin, poi il decesso a San Benedetto I periti: anticorpi troppo bassi. L’Aou Marche ricorre in Appello: sospensiva concessa

Choc settico, muore un papà di 35 anni: la famiglia contro l’ospedale. Torrette pagherà 1,3 milioni
Choc settico, muore un papà di 35 anni: la famiglia contro l’ospedale. Torrette pagherà 1,3 milioni
di Stefano Rispoli
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Domenica 18 Febbraio 2024, 02:20 - Ultimo aggiornamento: 19 Febbraio, 08:52

ANCONA - Al Pronto soccorso di San Benedetto del Tronto era arrivato di notte, con un filo di forze e dolori indicibili, dopo le dimissioni disposte qualche ora prima dall’ospedale di Torrette. Poco dopo è morto, a soli 35 anni, stroncato dagli effetti devastanti di un'infezione conseguente al trattamento di un linfoma di Hodgkin che gli era stato diagnosticato mesi addietro e per il quale era stato in cura nel nosocomio regionale, sottoponendosi a più cicli di chemioterapia. Al quarto la situazione è precipitata. Fino al decesso, avvenuto il 19 giugno 2017.

I fatti

L’uomo, ufficiale della Marina originario del Lazio ma i cui genitori vivono a San Benedetto, era diventato da poco papà.

La famiglia, piombata nel lutto, non si è arresa all’idea della fatalità. Ha voluto scavare a fondo per scoprire la verità, affidandosi all’avvocato Franco Carelli del Foro di Anzio-Roma, noto esperto in materia di responsabilità professionale medica. È stata avviata una causa civile: in primo grado il tribunale di Ancona ha condannato l’Azienda Ospedaliero-Universitaria delle Marche a risarcire oltre 1,3 milioni di euro, in diversa misura, a padre, madre, moglie, fratello e figlio dello sfortunato militare.

Le responsabilità

Secondo i giudici e i periti, infatti, ci sarebbero state delle responsabilità da parte dell’équipe medica di Torrette che ha assistito il 35enne, morto per uno choc settico intestinale. Un’infezione enterica che, per l’accusa, sarebbe stata favorita dalla decisione del personale sanitario di infondere la quarta dose di chemio nonostante le sue difese immunitarie fossero molto basse.

Secondo i periti, il giovane papà era troppo debilitato per potersi sottoporre al trattamento farmacologico necessario per contrastare la malattia ematologica di cui soffriva. Ritardare la chemio di qualche giorno, sempre secondo i periti, non avrebbe comportato rischi, anche perché il 35enne aveva risposto bene ai precedenti trattamenti e il linfoma era in fase di regressione.

Al contrario, i medici avrebbero proceduto con l’infusione nonostante un valore molto basso di neutrofili, i globuli bianchi che aiutano l'organismo a combattere le infezioni e le infiammazioni batteriche. La chemio avrebbe neutralizzato l’effetto della precedente somministrazione dei fattori di crescita leucocitari, abbassando drasticamente le difese immunitarie ed esponendo il paziente al rischio di contrarre infezioni, come poi è avvenuto.

Se in sede penale la posizione dei medici finiti a giudizio è stata archiviata sulla base di una perizia ordinata dalla Procura, in sede civile il tribunale di Ancona ha riconosciuto invece pienamente le responsabilità dell’ospedale, condannato a un risarcimento di 1,3 milioni. I vertici di Torrette hanno impugnato la sentenza e la Corte d’Appello, lo scorso 1° dicembre, ha accolto l’istanza di sospensione, limitatamente al 50% degli importi da liquidare (per ora sono stati versati oltre 680mila euro) insinuando il dubbio che la morte possa essere la conseguenza di una perdita di chance più che di malpractice. La prossima udienza si terrà nel dicembre 2025.

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