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Venerdì 25 Agosto 2023, 08:10 - Ultimo aggiornamento: 08:18 | 3 Minuti di Lettura

Il vino in scatola: rivoluzione bag in box

A volte additato come esempio di scarsa qualità, altre volte venduto “quasi di nascosto”, il vino sfuso, in dame da 3 o 5 (o più) litri, è un po’ croce e delizia dell’enologia moderna. “Vino della casa” per qualche trattoria o compagnia ideale di chi non vuol privarsi di un bicchiere a pasto, la dama continua ad esser presente in quasi tutte le cantine d’Italia. Pur con le limitazioni legate ad una perfetta conservazione del suo contenuto una volta aperta, la dama è ancora oggi il primo contenitore atto a trasportare agevolmente limitati quantitativi di vino. Anche se qualcosa sta cambiando... A tal proposito, infatti, Federico Moretti, responsabile commerciale di Pro.Vi.Ma, l’azienda più antica dell’area matelicese, nata ben 91 anni fa, ci racconta di come si stia evolvendo la produzione dello sfuso, attraverso un controllo completo della filiera. «Lo sfuso ha cambiato forma - dice Moretti, aggiungendo che - la storica dama è stata affiancata dal prodotto bag in box, con un innalzamento della qualità. Soprattutto il Verdicchio di Matelica Doc nei contenitori da 5 litri sta prendendo sempre più piede anche fuori regione e all’estero». Secondo una ricerca condotta dall’istituto internazionale WineIntelligence e riportata da Gimmewine.it, importante portale ecommerce italiano dedicato in maniera specifica al vino in bag in box, sono sempre di più le persone che consumano vino in contenitori di questo tipo, consapevoli dei benefici dal punto di vista ecologico. Lo studio, che ha coinvolto consumatori di vino da 18 Stati, ha mostrato come il 35% di questi, fossero favorevoli al suo utilizzo, con una crescita nettamente superiore rispetto ai dati degli anni scorsi. Tutto ciò, al di là della qualità dell’imballo, è stato possibile anche in risposta all’inflazione che ha fatto aumentare il prezzo del vino imbottigliato, frenandone i consumi. Interessante è anche notare come il ciclo produttivo del vino in bottiglia (dalla vendemmia al trasporto, fino alla commercializzazione) abbia un impatto di 675 g di CO2 per litro, contro i 70 di quello commercializzato nelle bag in box. Minore è anche lo scarto di prodotto dovuto a difetti come ossidazione post apertura e sentore di tappo. A rafforzare il concetto, anche Giuseppe Morelli, consigliere Assoenelogi Marche, consulente di varie aziende ed enologo di Casalis Douhet, realtà storica situata nel Maceratese, che ogni anno destina il 70% della propria produzione al vino sfuso, pari a circa 1.300 ettolitri. «Lo sfuso non è un prodotto di ripiego, ma un pilastro di una cantina. Va fatto con criterio e realizzato in maniera oculata per una specifica clientela. Bisogna sempre partire dai vigneti e dai terreni: quelli che danno meno struttura e maggior resa per ettaro, infatti, sono proprio i più indicati per dare vino da destinare alla vendita come sfuso». Diversa è, dunque, proprio la visione della gestione di questo prodotto, in un mercato dove i consumi medi pro capite si sono ridotti e il consumatore si è fatto più esigente e competente. «Non è facile mantenere alto il livello di questo prodotto - aggiunge Morelli, che specifica anche che - si deve partire da uve perfette, da rese per ettaro leggermente superiori, acidità di base un po’ più basse e, quindi, minor tenore alcolico». In conclusione: «Il fatto che anche le Doc oggi possano essere commercializzate all’interno di bag in box è garanzia di maggiori controlli per il consumatore».

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