Siravo sul palco con “Il Re muore”: «E' quasi una metafora della dissoluzione del mondo»

Siravo sul palco con “Il Re muore”: «E' quasi una metafora della dissoluzione del mondo»
Siravo sul palco con “Il Re muore”: «E' ​quasi una metafora della dissoluzione del mondo»
di Chiara Morini
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Mercoledì 2 Novembre 2022, 06:10

SANT'ELPIDIO A MARE - Edoardo Siravo, lei domani, 3 novembre, aprirà la stagione teatrale del Cicconi di Sant’Elpidio a Mare, con “Il Re muore” di Eugene Ionescu.


Che spettacolo sarà? 
«Non drammatico come fatto a teatro la primissima volta, ma ci saranno elementi grotteschi, a volte si ride, collegamenti con la storia che viviamo noi, quasi una metafora della dissoluzione del mondo».

 
Una storia quanto mai attuale? 
«Beh, dopo la guerra per i confini, la pandemia… I grandi autori sembrano proprio in grado di dire le cose prima che accadano. E qui è stato fatto con grande maestria». 
Si ride, ma come la si mette con il declino del re? 
«Beh, vede, il re, che interpreto io, è la metafora dell’uomo contemporaneo. Pensi che a un certo punto si parla di una biblioteca che non esiste più e quindi non si legge più. Si parla della distruzione della carta stampata. Insisto, i grandi autori sono visionari, quasi preveggenti». 
Difficile interpretare un personaggio di questo tipo? 
«Quando si arriva a essere dei grandi protagonisti a teatro, i grandi ruoli fanno parte del curriculum, e per farlo si deve essere pronti e in salute. Aiuta molto aver lavorato con grandi maestri del teatro come ho avuto la fortuna di fare io, con tanti, per esempio Stoppa o Salines, compreso Gassmann».
In che direzione sta andando il teatro?
«La brutta fine l’hanno cercata i teatranti stessi secondo me. Ovunque, in Europa, il teatro va a gonfie vele, mentre qui c’è una politica cieca e sorda. Mentre è una delle cose più importanti. Vede, come la gente cura il corpo in palestra, così a teatro ci si cura l’anima. In Italia ci si è dimenticati del teatro, della cultura. C’è in generale un impoverimento culturale». 
E di questo testo che dice? 
«È meraviglioso, si deve insistere, resistere e resistere. E tirare fuori autori a volte dimenticati. In questo caso, per questo spettacolo, il testo è quasi divertente, e con questo regista ho giò fatto Godot».
Perchè fare teatro oggi? 
«Per i motivi che ho già detto, ci si cura l’anima».
Il teatro è la sua passione lavorativa, si sente, ma quelle personali fuori dal palco quali sono? 
«Questo lavoro (o mestiere) mi ha tolto le passioni, prende molto spazio nella giornata. Un tempo giocavo a tennis, ma il lavoro di attore mi ha dato molte alternative. Per esempio sono presidente della nazionale di calcio attori, e presidente anche della Fondazione Niccolo Piccolomini per l’arte drammatica. Mi sono occupato anche di critica di teatro, sono nel cda Imaie».
Teatro, cinema, tv, il vero Siravo dov’è? 
«Ho messo da parte cinema e tv, per il teatro. Faccio questo, ma anche doppiaggio, e pure audiolibri, una buona cosa, per chi non ha tempo, e almeno il libro può ascoltarlo». 
Quanto ama le Marche? 
«Mia figlia è senigalliese, poi avete tante cose belle e buone, come il ciauscolo! Non nascondo che mi piacerebbe lavorare di più nella vostra regione, alla quale mi avvicino come direttore artistico del Plautus Festival di Sarsina, tra Marche, Umbria ed Emilia».

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