Genovese porta nelle Marche la trasposizione teatrale del film “Perfetti Sconosciuti”: «L’idea è nata a Buenos Aires»

Genovese porta nelle Marche la trasposizione teatrale del film “Perfetti Sconosciuti”: «L’idea è nata a Buenos Aires»
Genovese porta nelle Marche la trasposizione teatrale del film “Perfetti Sconosciuti”: «L’idea è nata a Buenos Aires»
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Lunedì 29 Gennaio 2024, 04:00 - Ultimo aggiornamento: 12:14

Arriva nelle Marche “Perfetti Sconosciuti” di Paolo Genovese (che ha curato l’adattamento teatrale del suo film del 2016), con Dino Abbrescia, Emmanuele Aita, Alice Bertini, Marco Bonini, Paolo Calabresi, Lorenza Indovina e Valeria Solarino. Lo spettacolo sarà in scena al Teatro La Nuova Fenice di Osimo, domani, 30 gennaio, alle ore 21,15 (info 0719307050) e poi al Teatro dell’Aquila di Fermo il 31 gennaio e il primo febbraio alle ore 21 (info 0734284295), al Gentile di Fabriano il 2 febbraio alle ore 21 (info 07323644), al Lauro Rossi di Macerata il 3 febbraio alle 21 e il 4 febbraio alle 17 (info 0733230735).

Paolo Genovese, regista di “Perfetti sconosciuti”, perché la trasposizione teatrale del film?

«Non l’ho fatta subito, per la verità. Dopo l’uscita del film mi hanno chiesto di farne un seguito o una serie, non l’ho fatto perché non ritenevo ci fosse altro da dire. Poi sono stati venduti nel mondo i diritti e sono iniziate le versioni teatrali. Ho avuto l’occasione di assistere alla prima dello spettacolo a Buenos Aires e ho visto che il pubblico ne era coinvolto, quasi fosse uno dei commensali della storia. L’idea mi ha stimolato, non avevo mai fatto teatro prima di allora e ho iniziato a lavorarci. In sala è curiosa la presa sul pubblico».

Di più rispetto al cinema?

«A teatro si vede di più l’aspetto riflessivo ed è quasi interattivo».

Perchè piace così tanto?

«Perchè racconta noi, il legame della società in un particolare momento storico. La forza dell’idea è legata al momento sociale in cui la storia esce e in particolare la storia al cinema è uscita quando iniziavano le riflessioni sul cellulare e su come ci avrebbe cambiato la vita. Il film ha avuto una funzione quasi di detonatore».

Se girasse il film oggi, dove oltre ai cellulari c’è una miriade di social, il film come uscirebbe?

«Non cambierebbe molto.

Nel 2016 non c’era l’utilizzo intenso dei social che c’è oggi, quindi non dico che uscirebbe uguale, forse attualizzato, ma la riflessione alla base della storia sarebbe la stessa di allora. Forse il film sarebbe ancor più attuale. Allora sembrò esagerato che in una serata si ricevessero così tanti sms, ma oggi no, con tutti gli alert e le notifiche che abbiamo».

Il teatro è in recupero, il cinema ha più difficoltà: ce la può fare?

«Sono due percorsi diversi. Il teatro è immutabile: se si vogliono vedere persone su un palco non ci sono alternative, poi è chiaro, lo spettacolo può piacere o no. Il cinema ha un’alternativa, quelle della piattaforme, con molti film. C’è una buona fetta di responsabilità anche degli autori, sicuramente, oggi al cinema il pubblico va meritato di più, perché il pubblico per vedere un film al cinema, deve farsi venire la voglia di uscire di casa. Il cinema medio, quello delle commedie, va molto sulle piattaforme, che si vedono a casa, quindi per le sale bisogna fare un passetto in più, vedere lì un film deve essere una vera esperienza, ci deve essere un audio meraviglioso».

Come tornare ad appassionare i giovani alle sale cinematografiche?

«In generale ritengo che a scuola bisognerebbe creare la cultura del cinema o del teatro, gli studenti colti poi hanno voglia di assistere. Servirebbe anche un insegnamento specifico a scuola, ne sento la mancanza. Oggi che le giovani generazioni sono tutte orientate all’audiovisivo e crescono con i video, non si può non usare questo strumento nella didattica».

Chiara Morini

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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