Raphael Gualazzi: «Quando parli
delle Marche, s'illuminano gli occhi»

Raphael Gualazzi
Raphael Gualazzi
di Lucilla Niccolini
5 Minuti di Lettura
Giovedì 1 Giugno 2017, 11:20
URBINO - Faccia d’angelo, Raphael Gualazzi compone e suona musica diabolica, tra blues e jazz, mentre le mani scorrono sulla tastiera con tecnica eccelsa. Un nome, il suo, che mescola una ispirazione rinascimentale ad ascendenze musicali rockettare: urbinate, è figlio di Velio, con Ivan Graziani fondatore, negli anni Sessanta, degli Anonima Sound. Quelli di “...parla tu”. Cresciuto a pane e musica, ha studiato e si è diplomato al Conservatorio Rossini di Pesaro, ma non ha mai dimenticato i ritmi ascoltati in famiglia fin da quando era in culla. Si è nutrito di tutte quelle note assieme al latte materno, ha metabolizzato generi e sound. E ne ha creato uno stile personale, inconfondibile, in cui il melodico dialoga col pop, e si fonde suadente con svolazzi jazz. Classe 1981, dopo essere stato scelto, nel 2014, a sostenere il Made in Italy di successo all’estero durante l’Italian Innovation Day a Bruxelles, è ora il più giovane tra i testimonial designati dalla Regione per ViviAMOleMarche.

Come ha reagito, Raphael, quando gliel’hanno proposto?
«Mi sono sentito molto onorato di entrare a far parte di questo progetto che sostiene e promuove la mia regione».

I suoi tre buoni motivi “personali” per sostenere le Marche?
«Uno solo, importante, per tre aspetti. Poter valorizzare la Bellezza con la B maiuscola, l’unicità e la cultura di questo splendido territorio».

Come vive questa regione? Ci risiede stabilmente o ci torna ogni tanto?
«Non vivo qui, per ragioni di lavoro, ma ci torno spesso, per respirare l’atmosfera speciale di Urbino, l’aria “di casa”, e per rivedere amici e parenti. Ma continuo a intrattenere qui anche rapporti connessi alla mia professione».

Cosa la lega di più a Urbino? È il posto, nelle Marche, cui non rinuncerebbe mai?
«Assolutamente sì! Urbino è tutto quello che sono, ed è quello che sogno».

La sogna da lontano?
«Non solo: è proprio il luogo nel quale i sogni sono i più belli. Mi legano alla mia città la sua magia, le sue storie antiche e recenti, il blues, che per me vi è connaturato, ma anche le sue quotidianità. Una passeggiata al Pincio in solitudine, alla domenica mattina presto, è una delle cose alle quali non saprei rinunciare».

Che contributo alla sua formazione attribuisce alle Marche?
«Ho fatto i miei primi passi nella musica moderna, in particolare nel blues, collaborando con molti eccellenti gruppi locali. Quando ancora ero in zona, ho cominciato a suonare con i Blue Devils».

Blue Devils: un “diavolo blu” col nome di un angelo, quasi un ossimoro. Tutto si tiene e si concilia, dunque in questa terra?
«Credo che faccia parte dell’eredità ancestrale di tutti gli urbinati la concentrazione di bellezza umanistica e rinascimentale di questa città, con il peso degli eventi storici e culturali di vitale importanza che Urbino rappresenta. Nella nostra semplicità, ne avvertiamo tutti, anche inconsciamente, una forma di responsabilità. Almeno per me è così, seppur nell’ambito ristretto del mio lavoro di musicista».

Tanto “ristretto” non si direbbe, a giudicare dalla sua carriera.
Lei ha avuto molto successo, ma la provincia può essere un ostacolo per chi ha una vena artistica come lei?

«Vivere in provincia, per un creativo può sembrare quasi un lusso. Eppure ci sono esempi di grandi, come Leopardi, che hanno passato la maggior parte della loro esistenza nelle Marche. E questo non ha impedito loro di essere considerati patrimonio della cultura internazionale. Le scelte, o i destini personali non sempre sono ostacolati dal fatto di essere nati in provincia».

Cosa consiglierebbe a un giovane talentuoso?
«Viaggiare e fare esperienza in luoghi differenti è sempre una fonte di arricchimento interiore per chi ne ha la possibilità. Ma quando si nasce in un luogo così bello come le Marche, e più in generale in Italia, questi resteranno per sempre i luoghi dell’anima».

A quale altra località marchigiana è legato, e perché?
«Facile: a tutti quelli che non ho ancora scoperto, perché sono sicuro che hanno molto da rivelarmi e possono regalarmi grandi emozioni».

In quale altro posto del mondo ha trovato analogie con la sua terra?
«Azzardo: in qualche paesino della Francia. Però le Marche, come non mi stanco di ripetere, sono uniche».

All’estero, quando dice che è originario delle Marche, cosa si sente rispondere?
«Confesso che non specifico quasi mai la mia provenienza regionale. Ma quando succede, chiunque sia stato dalle nostre parti, a sentir nominare le Marche, cambia espressione, e mi accorgo che s’illumina, gli occhi gli luccicano mentre parla della esperienza che ha vissuto qui».

E lei, cosa apprezza di più della sua regione, e cosa valorizza con quelli che non la conoscono?
«La varietà dei paesaggi, l’umiltà delle persone, la storia, la cultura e l’enogastronomia che la contraddistinguono».

Parliamo di enogastronomia. A quali specialità della buona tavola, a quali vini marchigiani non saprebbe rinunciare?
«Tanto per restare fedele alla mia città, la crescia sfogliata. E poi i vincisgrassi. Da bere, certi tipi di Verdicchio e di Rosso Conero, eccezionali».

Quali personaggi le vengono in mente che più di altri rappresentano le Marche?
«Difficile: sono davvero tanti, al punto che preferisco non fare nessun nome, per non dimenticarmene qualcuno».

Allora cerchiamo di riepilogare le eccellenze marchigiane, quelle viventi.
Diplomatico. «Ripeto, ci sono campioni in ogni campo, dallo sport alla danza, dalla musica all’arte, dalla poesia all’enogastronomia, fino alla scienza… non sarebbe giusto citare solo i più famosi».

Cosa non si deve perdere delle Marche? Qual è il valore minacciato dalla modernità?
«L’autenticità dei mestieri. E l’artigianato, che in quanto unico, è inimitabile. Poi, la purezza di un paesaggio incontaminato. E infine la gente: l’umiltà di chi lavora in silenzio e ama quello che fa».
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