«Vertical Bio, inchiesta lacunosa. L’accusa non ha prodotto prove». Assolti i 23 imputati e le 6 società finite nell’indagine

Per l'accusa i prodotti agricoli falsamente certificati come biologici

«Vertical Bio, inchiesta lacunosa. L’accusa non ha prodotto prove». Assolti i 23 imputati e le 6 società finite nell’indagine
«Vertical Bio, inchiesta lacunosa. L’accusa non ha prodotto prove». Assolti i 23 imputati e le 6 società finite nell’indagine
di Luigi Benelli
3 Minuti di Lettura
Venerdì 21 Aprile 2023, 03:15 - Ultimo aggiornamento: 14:22

PESARO Uscite le motivazioni della sentenza per l’inchiesta Vertical Bio. Tutti assolti i 23 imputati e le 6 società finite nell’indagine. Il collegio del tribunale di Pesaro a dicembre aveva emesso la sentenza di assoluzione per insufficienza di prove rispetto alla contestazione dell’associazione a delinquere. Il collegio presieduto da Franco Tetto parla di «lacune probatorie». E del fatto che «gli elementi probatori acquisiti siano connotati da intrinseca frammentarietà ed equivoca efficacia riguardo alla reale sussistenza del vincolo associativo». 

 


La vicenda processuale


Facciamo ordine. Secondo l’accusa si parlava di prodotti agricoli falsamente certificati come biologici. I fatti contestati risalgono al periodo dal 2007 al 2013 e dopo due anni di udienza preliminare, iniziata nel novembre 2016, erano stati rinviati 25 tra imprenditori e certificatori, per il reato di associazione per delinquere trasnazionale finalizzata alla frode nell’esercizio del commercio, e di 6 aziende del settore biologico, che rispondono di illecito amministrativo perché il reato sarebbe stato commesso nel loro interesse. Le aziende erano FA.Zoo Mangimi srl, azienda di alimenti zootecnici di Chiusa di Ginestreto a Pesaro; Fratelli Grimaldi & C. snc di Acquaviva Colle Croce (Campobasso); Romani spa di San Giorgio Piacentino (Piacenza); Bozzola spa di Casaleone (Verona). Per l’accusa, con la complicità di due istituti di certificazione sarebbero state importate dai Paesi dell’Est Europa e anche di Sud America, Africa e Asia nel mercato italiano e dell’Unione europea, soprattutto per il comparto zootecnico, 350mila tonnellate di mais, soia, grano, colza e semi di girasole fintamente bio, per un fatturato di circa 126 milioni di euro.

Il provento illecito sarebbe stato calcolato in 32 milioni di euro. 


Il sequestro


Di questa somma è stato sequestrato dalla Gdf l’equivalente di 23 milioni finalizzato alla confisca in caso di condanna. Secondo gli inquirenti il sistema di frode consolidato nel tempo consisteva, in una prima fase, nella quale veniva operata la produzione di granaglie in Paesi terzi, quali Moldavia, Ucraina, Kazakistan, che venivano qualificate come “biologiche” dagli organismi di certificazione situati nei medesimi Paesi ma controllati dai soggetti italiani strettamente collegati e/o cointeressati agli imprenditori titolari coinvolti nella frode. Successivamente le granaglie venivano importate in Italia, talvolta anche con l’interposizione di una società maltese che provvedeva a sdoganare la merce eludendo in tal modo i rigidi controlli previsti nel territorio italiano. 


«Accuse evanescenti»


Nel corso del dibattimento si era prescritta gran parte dei reati, come la frode in commercio, ma era stata confermata l’accusa di associazione per delinquere transnazionale (il codice prevede pene da 3 a 7 anni di carcere) nei confronti di due presunti distinti sodalizi. Due imputati hanno patteggiato due anni di reclusione, godendo della sospensione della pena. La posizione di altri due era stata stralciata perché non sono stati mai rintracciati. Per i 23 imputati rimasti a processo erano state chieste pene complessive per 96 anni di carcere. Per il collegio «l’ipotizzata sussistenza delle due associazioni criminali è risultata evanescente». Gli imputati in pratica avevano la finalità di ottenere «profitti economici personali al di fuori di qualsivoglia prospettiva di tipo associativo». Dunque l’ipotizzata sussistenza del sodalizio criminale risulta «infondata». Quanto alle società si evidenza «l’insussistenza dei profili di responsabilità amministrativa». 

© RIPRODUZIONE RISERVATA