Nessun senso di colpa per la sua «operazione militare speciale»: il presidente Vladimir Putin, ora che sono trascorsi più di 300 giorni dal 24 febbraio, dall’inizio dell’invasione in Ucraina, vede tramontare il sogno di costituire un nuovo impero russo. Doveva essere una guerra lampo, e invece le truppe continuano a combattere sul campo da quasi un anno. Il Telegraph paragona lo Zar russo a Stalin e lo descrive come un dittatore che giustifica i suoi crimini identificandoli con le necessità dello Stato che governa, dove il dissenso non viene tollerato e viene punito con la morte. Putin, sottolinea il Telegraph, ha un solo fine: la rinascita dell’impero russo. Uno scopo che ritiene grandioso e che è disposto a raggiungere anche andando contro tutto e tutti. In questo caso, distruggendo l’Ucraina.
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Putin, l'operazione fallita
La campagna militare non è andata come sperato: il bilancio delle perdite è ingente. Si parla di almeno 100mila soldati russi caduti. La maggior parte dell’arsenale russo - carri armati, munizioni e missili - è distrutta. Senza contare le sanzioni occidentali, che hanno devastato l’economia di Mosca. Un alto funzionario britannico ha spiegato al Telegraph che la Russia impiegherà almeno 30 anni per ricostruire la sua precedente forza economica e militare. E anche il ruolo del Paese come superpotenza è stato messo in discussione: hanno pesato le sconfitte, clamorose, in alcune battaglie, la resistenza eroica di Mariupol, il successo delle controffensive dell’Ucraina, aiutata dagli armamenti forniti dalle potenze della Nato.
A cercare di abbattere l’esercito di Volodymyr Zelensky, battaglioni equipaggiati male, con armi e strategie troppo datate. Ma le vittime, anche per Kiev, sono state tantissime, civili compresi.
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