Il rettore Giorgio Calcagnini (Urbino): «Il rischio vero? La perdita di aderenza con il territorio»

Il rettore Giorgio Calcagnini (Urbino): «Il rischio vero? La perdita di aderenza con il territorio»
Il rettore Giorgio Calcagnini (Urbino): «Il rischio vero? La perdita di aderenza con il territorio»
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Lunedì 19 Dicembre 2022, 03:40

Le radici si assottigliano, la distanza diventa un fossato, profondo. Giorgio Calcagnini coglie l’aspetto umano delle acquisizioni d’impresa. Il rettore dell’Università di Urbino mette al centro della scena il fattore “U”: «Il rischio vero è la minore aderenza con il territorio».

 
Un viaggio di solo andata? Via di qui? 
«Non è detto. Il lato negativo di queste operazioni è la perdita di autonomia delle aziende acquistate, e il loro inserimento in logiche strategiche di ambito internazionale, che ne potrebbero indebolire il rapporto con la terra d’origine. L’aspetto umano, appunto». 
Rovesci la medaglia. 
«Vanno sottolineati i potenziali aspetti positivi associati all’attrattività del sistema produttivo locale nei confronti degli investitori extra regionali. Un elemento da evidenziare soprattutto nei casi in cui le società si trovavano in difficoltà e l’intervento di un gruppo di maggiore dimensione consente di rilanciare o accrescere i volumi produttivi e l’occupazione».
Una manna, raccontata così. 
«Diciamo che si possono trovare quelle risorse finanziarie che spesso possono venire a mancare. Mi permetta una osservazione».
Prego. 
«Vorrei rifarmi ai risultati dell’ultimo rapporto del Sole 24 Ore sulla qualità della vita».
Qual è il nesso? 
«Esaminando i dati della provincia di Pesaro-Urbino, si nota che quelli relativi alle aziende giovanili sono in ultima posizione. Ciò significa che manca ai ragazzi la capacità, o la volontà, di fare impresa». 
Tradotto in pratica? 
«Non è garantito il passaggio generazionale. Laddove c’è un fondatore anziano, che vorrebbe uscire di scena, non è assicurata la successione, la continuità».
Fine della corsa?
«In questo caso, per esempio, le acquisizioni possono rappresentare un’occasione. Spesso sono proprio le imprese in difficoltà a cercare l’acquirente, che entra con le risorse finanziarie necessarie».
Per non interrompere un percorso. 
«Esatto». 
Sarebbero utili, secondo lei, delle regole per evitare che questa regione del fare si riduca a essere un’arida terra di conquista? Della serie: qui si fabbrica, ma le decisioni vengono prese altrove. Come impedirlo? 
«Troppi paletti potrebbero scoraggiare gli investitori e rendere così un territorio poco interessante. La loro assenza potrebbe, di contro, generare comportamenti dannosi alla nostra economia. È sempre nella ricerca dell’equilibrio la soluzione». 
Il sistema produttivo marchigiano, in particolare quello manifatturiero, esprime eccellenze in molti settori e questo è motivo di attrazione per gruppi nazionali ed esteri. Inevitabile. 
«Ribadisco, potrebbe essere l’opportunità per intercettare quel denaro imprescindibile per lo sviluppo e il potenziamento di una impresa che altrimenti non ne avrebbe la possibilità. Risorse che non potrebbero essere, in alcun modo, assicurate dal sistema bancario, essendo capitale di rischio». 
Il potere della contaminazione? 
«Certo, la crescita per via esterna è anche un modo per innovare i modelli organizzativi e di governance. La formula potrebbe essere: maggiore apertura al capitale, maggiore managerializzazione».
 

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