Tutti assolti (o quasi) per i 29 morti sepolti dell’hotel Rigopiano. Niente disastro colposo

Tutti assolti (o quasi) per i 29 morti sepolti dell’hotel Rigopiano
Tutti assolti (o quasi) per i 29 morti sepolti dell’hotel Rigopiano
di Lorenzo Sconocchini
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Venerdì 24 Febbraio 2023, 03:00 - Ultimo aggiornamento: 17:40

ANCONA - Molti più morti, 29, che anni di carcere inflitti (in tutto 10 e 4 mesi) ai cinque imputati su 30 ritenuti responsabili della catastrofe dell’hotel Rigopiano, il resort sulle pendici del Gran Sasso sepolto da una valanga il 18 gennaio del 2017. La sentenza di primo grado pronunciata ieri pomeriggio al Tribunale di Pescara lascia il cerino in mano a pochi personaggi di secondo piano, tra cui il sindaco di Farindola, assolve gran parte degli imputati, a partire dai profili istituzionali all’epoca più elevati, e fa gridare di rabbia i familiari delle 29 vittime, che ieri in aula hanno accolto la sentenza come un affronto. «Vergogna, vergogna. Ingiustizia è fatta, venduti, fate schifo», hanno urlato, trattenuti a fatica dalle forze dell’ordine. Volano anche minacce al giudice, gridate da un sopravvissuto. A sei anni da quell’apocalisse bianca d’Abruzzo, e dopo tre anni di udienze nel processo con rito abbreviato, il primo verdetto delude amaramente le loro aspettative di giustizia. 


Tre coppie, bimbo in salvo

Sei delle vittime di Rigopiano arrivavano dalle Marche.

Una coppia di fidanzati di Castignano, in provincia di Ascoli: Marco Vagnarelli, 44 anni, e Paola Tomassini, 46. I coniugi osimani Domenico Di Michelangelo, 41 anni, e Marina Serraiocco, 37, genitori di Samuel, bambino di 7 anni che invece venne estratto miracolosamente vivo, dopo più di 48 ore sotto le macerie. Poi due giovani maceratesi: Marco Tanda, 25 anni di Gagliole, ritrovato una settimana dopo, accanto alla fidanzata abruzzese Jessica Tinari, ed Emanuele Bonifazi di Pioraco, 31 anni receptionist dell’hotel. La sentenza è una delusione, per chi li piange ancora. Altro che tante colpe messe insieme, in una filiera di ritardi e sottovalutazioni del rischio, che meritavano pene complessive per un secolo e mezzo di carcere, come aveva chiesto a novembre la Procura di Pescara, sollecitando una condanna per 25 imputati. La pubblica accusa chiamava in causa le responsabilità del Comune di Farindola, della Provincia e Prefettura di Pescara e della Regione Abruzzo, che con una condotta più accorta avrebbero potuto scongiurare la tragedia di Rigopiano. O impedendo la costruzione dell’hotel o evacuando la struttura. E l’unica strada disponibile doveva essere pulita. «Quella strada invece è diventata una trappola - aveva detto nella sua requisitoria il pm Anna Benigni -. Come se il gestore di una discoteca fa entrare tutti, sbarra le porte poi scoppia un incendio». La Procura di Pescara contestava reati che spaziavano dal disastro colposo all’omicidio plurimo colposo, dall’abuso di ufficio al falso ideologico, puntando il dito anche sull’assenza di una carta valanghe, sul mancato sgombero delle strade di accesso all’hotel e sull’allestimento in ritardo del centro coordinamento soccorsi. 

Niente disastro colposo

Invece, come ha fatto notare ieri il procuratore capo di Pescara Giuseppe Bellelli, con il verdetto del giudice Gianluca Sarandrea «viene cancellato il reato di disastro colposo». La sentenza inoltre esclude completamente le responsabilità della Prefettura e della Regione per i soccorsi ritardati e i presunti depistaggi. Tra gli assolti anche l’ex Prefetto di Pescara Francesco Provolo, per il quale la Procura aveva chiesto la pena più alta, 12 anni e l’ex presidente della Provincia di Pescara Antonio Di Marco. Le sole responsabilità di quella strage sembrano riguardare il mancato sgombero della strada provinciale 8 che portava a Rigopiano, impraticabile per neve. Gli unici colpevoli di omicidio plurimo colposo sono infatti il sindaco di Farindola Ilario Lacchetta, condannato a 2 anni a 8 mesi per non avere emesso un’ordinanza di inagibilità e di sgombero (la Procura aveva chiesto 11 anni e 4 mesi) e due dirigenti del servizio Viabilità della Provincia di Pescara, Paolo D’Incecco e Mauro Di Blasio, condannati a 3 anni e 4 mesi per la mancata pulizia notturna dalla neve e perché non trovarono un mezzo sostitutivo di una turbina in avaria. Le altre due condanne riguardano un aspetto secondario. Sei mesi per il reato di falso sono stati inflitti a Bruno Di Tommaso, gestore dell’albergo, e a Giuseppe Gatto, che firmò una relazione tecnica allegata alla richiesta di intervenire su tettoie e verande dell’hotel. Le numerose assoluzioni addolorano i familiari delle vittime ma non stupiscono la dottoressa Cristina Tedeschini, che da procuratore aggiunto di Pescara guidò l’inchiesta su Rigopiano per cinque mesi, fino al maggio 2017, prima di assumere l’incarico di procuratore capo a Pesaro. «Era un procedimento difficilissimo sul piano della prova di responsabilità penale, ma necessario, anche per restituire ai sopravvissuti una narrazione della vicenda il più possibile imparziale - commentava ieri, chiarendo di aver seguito poi la vicenda solo dai giornali -. Considerato il numero degli imputati e dei temi di indagine non mi stupiscono affatto le numerose assoluzioni. Personalmente avrei fatto scelte procedimentali modulari per temi di indagine e titoli di responsabilità, ma non so se gli esiti sarebbero stati diversi. Ma alla fine mi sembra che quella prima fase di indagine abbia dato dei risultati e la sentenza conferma il lavoro dei carabinieri forestali e dei consulenti tecnici di quel primo periodo d’indagine».

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