Gianluigi Quinzi, dalla vittoria a Wimbledon al ritiro: «Tennis, ti dico addio. Mi hai portato in alto ma non reggevo il peso delle sconfitte»

Gianluca Quindi in una foto dei tempi della strabiliante vittoria del torneo di Wimbledon Juniores nel 2013
Gianluca Quindi in una foto dei tempi della strabiliante vittoria del torneo di Wimbledon Juniores nel 2013
di Giovanni Guidi Buffarini
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Domenica 4 Luglio 2021, 04:05

Luglio 2013. Gianluigi Quinzi, classe ‘96, vince Wimbledon juniores. Sono anni di magra per il tennis italiano, Fognini e Seppi, d’accordo, forti sì ma non dominanti, uno per limiti caratteriali, tecnici l’altro. Il ragazzo - marchigiano di adozione, vive a Porto San Giorgio con la famiglia - finisce sulle prime pagine, tutti festeggiano il risultato e la nascita di un sicuro campione. Luglio 2021. Gli appassionati seguono le gesta di Berrettini, di Sinner, di Musetti, pregustano un futuro ricco di soddisfazioni. Mentre Gianluigi Quinzi a 25 anni annuncia il ritiro.

Sembrava un predestinato: sui campi da sempre, ammesso praticamente bambino all’accademia di Bollettieri, l’allenatore di Agassi, per dire, poi passato sotto le cure di Ron Leitgeb, l’allenatore di Muster, tanto per ribadire. Invece la sua carriera non ha avuto l’andamento atteso. Quinzi non ha spiccato il volo nel cielo dei grandi campioni. Succede. Succede che un’alba limpida non sia preludio a un mezzogiorno radioso. Lo raggiungiamo al telefono e non possiamo che partire da qui.
Gianluigi cosa non ha funzionato?
«Guardi, il fatto di aver vinto tanto a livello giovanile non mi aiutato di sicuro. Non ho vinto solo Wimbledon, sono arrivato alla prima posizione del ranking mondiale. Questo mi ha messo addosso tanta pressione, una pressione che non sono stato in grado di sostenere. E non ho avuto un buon rapporto con la sconfitta, senza dubbio. Le sconfitte non le accettavo, invece di spingermi a migliorare mi abbattevano. Avessi perso qualche partita in più da ragazzo, chissà». 
Ha forse sviluppato un disgusto nei confronti del tennis, come André Agassi racconta nell’autobiografia “Open”?
«No, questo no. Giocare mi è sempre piaciuto, mi piace ancora. Così come mi è sempre stato chiaro di essere un privilegiato. Fino a ieri mi guadagnavo la vita giocando a tennis, mica scendendo in miniera. Ma alla passione - perché ci vuol proprio passione e ce ne vuole tanta, per giocare fra i professionisti: bisogna allenarsi duramente e io l’ho fatto, nulla da rimproverarmi in proposito - alla passione dicevo, si era sostituita la frustrazione. Dovuta alla consapevolezza che non avrei raggiunto i risultati cui qualche anno fa pensavo di poter aspirare».
Vorrei chiederle un’altra cosa.
«Ancora un’altra? È pesante per me sostenere queste interviste, non immagina quante me ne stanno chiedendo. Non perché ce l’abbia con voi giornalisti. Fate il vostro lavoro. Però voglio guardare avanti, non indietro. Concentrarmi sul futuro, non sul passato».
Capisco. Però lei ha vinto Wimbledon come Borg, come Lendl, come Edberg, come Federer. E a 25 anni si ritira. È una notizia e una vicenda da approfondire, mi darà ragione. È pure marchigiano, seppur nativo di Cittadella. Non potevamo non disturbarla. In ogni caso, non intendo torturarla, le assicuro. Solo chiederle se si rammarica di qualcosa, se, tornando indietro, farebbe qualche scelta diversa. 
«Con i se e con i ma non si fa la storia. Mi chiede se ritengo di aver commesso errori, le rispondo di sì, senza alcun dubbio. Come capita a tutti. Ma non ho voglia di approfondire. E d’altro canto, tutte le scelte, giuste o sbagliate che fossero, compiute durante gli anni di agonismo, mi hanno portato a essere l’uomo che sono oggi. Un uomo senza rimpianti e concentrato sul prossimo capitolo della sua vita».
La decisione di dire basta è stata improvvisa o meditata a lungo?
«Ho deciso il ritiro nel novembre scorso. Dopo averci pensato molto a lungo. E prima di annunciarlo ho fatto trascorrere tutti questo mesi. Una risoluzione impulsiva proprio no».
Come si sente oggi?
«Sereno. Sollevato. Fiducioso in quel che la vita mi riserverà, che sarò capace di costruirmi».
La invito a guardarsi indietro un’ultima volta, giuro. A chi si sente di dire grazie per gli anni tennistici e a chi invece vorrebbe rivolgere parole meno gentili?
«Sono grato a molte persone, le ho ricordate in un lungo post pubblicato su Instagram a cui ho rimandato alcuni suoi colleghi. Riepilogando: ringrazio la mia famiglia, gli amici, e tutti quelli che in 20 anni di tennis mi hanno sostenuto. Quanto alle persone alle quali, come dice lei, vorrei rivolgere parole non gentili: non ci sono. Come non ho rimpianti, così non ho rancori. Ho incontrato tante persone, con alcune ho avuto un magnifico rapporto, con altre meno: inevitabile che sia così, per ogni essere umano. Ma lascio il tennis con tanti bei ricordi, Wimbledon al primo posto naturalmente, e nessuno brutto». 
Mi fa piacere, e smetto di spingerla a guardarsi indietro. Cosa c’è nel suo futuro?
«Sto studiando Scienze Motorie indirizzo Managment, mi preparo a cogliere le occasioni che la vita mi offrirà».

All the best a Gianluigi Quinzi.

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