Manola Fontana, ballerina e ristoratrice: «Conquistata dal mio Gianni. All’inizio lo snobbavo»

Manola Fontana, ballerina e ristoratrice: «Conquistata dal mio Gianni. All’inizio lo snobbavo»
Manola Fontana, ballerina e ristoratrice: «Conquistata dal mio Gianni. All’inizio lo snobbavo»
di Valentina Berdozzi
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Domenica 17 Marzo 2024, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 12:32

Sotto i riflettori, la vita luccica. Merito delle paillettes degli abiti da gara, del fruscio delle gonne colorate o, più di tutto, della passione che fa scintillare gli occhi. È una spinta fortissima, una piroetta sulla vita, come sul parquet della sala da ballo. Manola infila le scarpe da danza e parte: una consuetudine come tante per un rito magico come pochi quando, con le scarpe ai piedi, tocca la pista e parte la magia. Quella potente, antica, incontrollabile, fortissima e innata, ereditata dai tempi in cui Manola Fontana era solo una bambina e quella che la sostiene anche oggi, ristoratrice assieme al marito Gianni e, sempre assieme a lui, volto della Fashion Giama Dance di Morrovalle. Una vita a ritmo, la sua. Eppure, dietro alle etichette, l’incontenibile verve di Manola stenta a rimanere imbrigliata.

L’impegno

«Tutto regolare - fa capire subito - sono sempre stata una tipa a dir poco attiva, allergica anche alla sola idea di starsene zitta, buona e ferma da qualche parte. Da piccola, poi, ero un vulcano: una ne facevo e almeno un altro paio ne avevo in serbo», ammette ridendo. La sua risata è un sipario che si alza su ricordi festosi e scintillanti come è lei. Il primo che si presenta a rapporto racconta di un pomeriggio entrato nella storia: «Ero a casa di mia nonna materna a Montecosaro, nelle ore calde del dopopranzo - comincia - i miei nonni si stavano riposando dopo le fatiche della mattina ma io, di dormire, non avevo proprio voglia. Così sono uscita di casa e mi sono avventurata nella campagna tutt’attorno.

Mi ha trovato qualche ora dopo mia madre, completamente zuppa e sporca nella tinozza che i miei nonni tenevano al limitare del loro orto per raccogliere l’acqua piovana con cui irrigare le verdure. Approfittando dell’assenza di controllo, decisi di fare il bagno al cagnolino, ma la cosa mi sfuggì di mano e presto lo raggiunsi in acqua: con l’arrivo di mia madre, però, furono solo rimproveri e anche qualche sculacciata», ride. La fantasia ha tante forme e mille espressioni. Una, in particolare, ha le sembianze di un piccolo show domestico, organizzato alla bene e meglio da un giovane talento della danza, quando questo mondo era ancora una proiezione lontana. «Ballare mi è sempre piaciuto - sottolinea Manola - a conferma, ricordo i pomeriggi passati lungo la via sotto casa, a Civitanova, con le amiche del quartiere che avevo coinvolto in questa mia passione.

Ci riunivamo, decidevano le coreografie, realizzavamo di nostro pugno i vestiti e via, acceso lo stereo, a imitare i passi dei miei idoli, Heather Parisi e Lorella Cuccarini, io come prima donna e loro come ballerine di appoggio. Il ballo mi scorreva nelle vene ed era una passione così potente che, quando a 11 anni mio padre mi propose di iscrivermi alla scuola di danza che frequentava il suo socio, accettai subito e fu l'inizio di un sogno.

Ero poco più che una bambina, ma il folk romagnolo mi aveva preso il cuore». Non fu solo il ballo a renderla prigioniera: «Fu in quel momento che conobbi Gianni Crucianelli, che poi è diventato mio marito. All’epoca aveva 14 anni ed era un ragazzino. Tra noi l’affiatamento fu subito grandissimo e, in virtù di quel legame solido che ci univa, negli anni abbiamo raggiunto tanti traguardi e vinto innumerevoli premi. Abbiamo partecipato a tantissime competizioni, in ogni angolo d'Italia: era divertente quando, da piccoli, erano i nostri genitori ad accompagnarci lontano o quando, invece, ci esibivamo nelle nostre zone. Ricordo, a proposito, la volta in cui gareggiammo in piazza a Montecosaro. Era il 1987, io avevo appena 16 anni e Gianni 19. Sulle nostre spalle era cucito il numero 5 e fu bellissimo, mentre noi danzavamo, sentire i cori che si levavano dal bordo pista con il nostro numero, per incitarci e spronarci a volare fino al podio. Fu un'emozione unica come quella della gara a cui partecipammo, l’anno dopo, al ristornate Orso di Civitanova. Io e Gianni formavano una coppia, ma solo in pista: fuori da perimetro, ognuno stava per conto suo anche se, da brava civettuola, avendo intercettato un suo interesse per me, facevo la sostenuta e lo snobbavo. Non poche volte, all’ingresso del Gatto Blu, vedendolo sulla sua Vespa, con le mie amiche tiravo dritto e non lo degnavo neanche di uno sguardo. Ma quella volta fu particolare. Finita la gara, con la scusa di portarmi a vedere la caserma di Porto Potenza in cui faceva il militare, Gianni mi regalò una meravigliosa serata romantica e mi fece la proposta che accettai e che, attraverso il matrimonio, ancora ci lega».

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