Oggi l’indifferenza sociale può diventare una strategia

Oggi l’indifferenza sociale può diventare una strategia

di Rossano Buccioni
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Martedì 4 Gennaio 2022, 09:35

In diverse occasioni Papa Francesco ha parlato di «globalizzazione dell’indifferenza», un sentimento connotato negativamente, ma che si va imponendo come emozione sociale dominante. In troppe occasioni ci accorgiamo che «la dignità non è soltanto un dato originario, acquisito alla nascita per il fatto di essere uomini, ma è anche un compito. È un diritto al quale corrisponde un dovere, che rinvia pertanto all’assunzione della responsabilità». È il bioeticista Giannino Piana a scrivere queste righe sostenendo, tra l’altro che la «civiltà dei diritti - che grazie all’istituzione dello Stato sociale, ha avuto il grande merito di sottrarre alla condizione di marginalità intere classi sociali - non ha avuto la capacità di sviluppare, in parallelo, la coscienza dei doveri». Essendo la generalizzazione e l’astrazione le caratteristiche dominanti nel nostro contesto sociale, il groviglio inestricabile di relazioni possibili al suo interno determina un costante aumento della complessità in ogni dimensione della nostra esistenza. Si tratta di complessità che deve necessariamente essere ridotta, mediante una selezione da operare tra le infinite possibilità di relazione. Selezionare le relazioni all’interno della nostra sfera sociale significa spesso usare gli strumenti dell’indifferenza “civile” e dell’evitamento. Per pensare la società dell’indifferenza occorre una strategia teorica che non dimenticando l’umano, rinunci a pensare la società moderna a partire dall’uomo. A lungo sinonimo di “comunitario” o “civile” il sostantivo “sociale” sempre più spesso chiede di essere utilizzato in alternativa ad “umano”, perché esprime la generalizzazione insita nelle relazioni astratte che costruiamo e che superano ogni specificità personale dato che viviamo in funzione di rapporti interattivi/quantitativi di tipo prestazionale che socializzano ad una valutazione dell’altro di tipo strumentale. Il sociale diviene un ambito totalizzante, con le sue determinanti che inglobano ogni attività umana e nel contesto epocale che salda l’esigenza della razionalizzazione a quella dell’accelerazione dei progetti di vita, il sociale promuove l’attenzione per determinati fenomeni decretandone frettolosamente la concomitante obsolescenza, spingendo milioni di persone alla disaffezione indifferente. Non a caso, il sociologo Mario Morcellini, riferendosi all’inserimento delle giovani generazioni nel contesto delle competenze sociali dell’io-ruolo, parlava di una «socializzazione di corsa», intendendo una crescita che non sembra più rispettare tempi umani, quasi fosse un percorso eterodiretto che ricrea le sue logiche all’interno del quadro antropologico dell’assimilazione di habitus e dell’introiezione del rapporto valori/norme. A fronte dell’ovvia necessità di tempo per strutturarsi, la formazione diventa un’avventura precipitosa in cui bruciare le tappe rappresenta la norma, in un forcing socializzativo dove i giovani non imparano più a riconoscere i loro limiti, dato che esistono esattamente per essere oltrepassati in un continuo rilancio contingente verso un illimitato “essere altrimenti”.

Assecondando la coazione collettiva a mettersi in scena, le persone portano alla ribalta le dimensioni più intime di sé, scavalcando qualunque convenzione sociale, senza associare ai tradizionali “riti di istituzione” (P. Bourdieu), una qualsiasi istanza maturativa. La fitta trama di sollecitazioni nervose prodotte dall’ambiente cittadino che fa da teatro alle convulsioni dell’io-ruolo, condiziona le persone a costruire delle barriere psichiche per non lasciarsi travolgere dal flusso evenemenziale della contingenza sociale, mitigando gli stimoli allo scopo di ottimizzare la gestione delle stress relazionale. Se la comunicazione diviene l’elemento autenticamente sociale che origina dalla necessità della relazione interpersonale, l’infinito moltiplicarsi delle interazioni (scelte o obbligate) e la pervasività di certi modelli di comunicazione, costringe molte persone a sottrarsi alla comunicazione, specialmente nei suoi aspetti autenticamente emozionali. In tal modo, pur facendo parte di uno o più contesti comunicativi, noi elaboriamo delle strategie che contemplano un meccanismo di sottrazione strategica dalle relazioni: l’indifferenza sociale. Evitare le persone è l’atto operativo dell’indifferenza sociale che determina nell’evitamento una forma specifica del nostro essere sociale, abilmente camuffata nel rapporto di informazione. Infatti l’evitamento può determinarsi sotterraneamente, anche se in pubblico non ci si mostra indifferenti verso qualcuno perché avviene impedendo i livelli più profondi dell’interazione comunicativa dove il contatto senza scambio prelude ad un utilizzo strumentale delle aspettative di ego a danno di quelle di alter. Non si tratta dunque solo di evitare un incontro con persone conosciute - semplicemente facendo finta di non averle notate - perché il problema sono le sofisticate tecniche relazionali che attiviamo per non riconoscere le legittime ed umanissime istanze di chi incontriamo, banalizzando le sue aspettative nel normale rapporto di informazione. L’indifferenza sociale diventa una strategia consueta praticata da molti individui che si esercita a partire da quei canali naturali di messa in comunicazione con gli altri dalla cui abolizione ricerchiamo costantemente le modalità migliori per circoscrivere gli effetti incontrollabili del sociale nella nostra vita quotidiana. Abituati ad indifferenziare l’altro può capitare che il sentimento amoroso venga a ricordarci che ci può essere qualcuno che merita attenzione comunicativa autentica, mandando in mille pezzi la strategia sociale di relazionamento normale. E allora sono guai...

*Sociologo della devianza e del mutamento sociale

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