Nei giorni di guerra e di angoscia per il futuro della popolazione ucraina abbiamo tutti le idee un po’ confuse. Uniamo la preoccupazione per il quadro internazionale all’apprensione per le nostre comodità e prospettive di crescita economica. Avremo freddo questo inverno? Quanto costerà la bolletta? E ovviamente la politica, sia nazionale sia locale, cerca di dare risposte alle preoccupazioni dei cittadini. Sui giornali appaiono le proposte più goffe e fantasiose, a volte del tutto improvvisate, poiché prive di conoscenza delle condizioni e delle tempistiche di realizzazione. I nostri politici spesso confidano nella nostra ignoranza e la “sparano lì”, come fossero al bar: vuoi vedere che magari qualcuno se la beve? Tra le soluzioni per far fronte al caro gas, la prima è stata quella di fare centrali nucleari. Quelle di nuova generazione producono circa 1 gigawatt, ce ne servirebbero una cinquantina in Italia. Un paio quindi nelle Marche, le vogliamo? Sarei curioso di sentire dove le metterebbero i sostenitori del nucleare (senza contare che non sappiamo dove mettere le scorie radioattive). Passiamo poi alla soluzione più conservativa: prendiamo idrocarburi e riapriamo i rubinetti delle piattaforme così riduciamo o annulliamo la dipendenza energetica italiana del gas russo. Peccato che la produzione italiana con i pozzi esistenti non potrebbe mai, e sottolineo mai, coprire le nostre richieste energetiche. Delle circa 130 piattaforme petrolifere esistenti in Adriatico almeno una quarantina sono inattive da molti anni (esauste?) e con una produzione complessiva limitata. Basti pensare che importiamo il 95% del gas dall’estero. Allora apriamo nuovi pozzi no? Che ci vuole? Avviamo nuove esplorazioni per il gas metano e finiamola con l’ambientalismo di facciata. Ecco la soluzione! La nostra politica è fortissima a parole, impareggiabile a slogan, ma spesso non sa di cosa parla. Se cominciassimo oggi stesso a cercare nuove aree per la “coltivazione” di gas metano (tecnicamente si chiama così la sua estrazione) i tempi per la costruzione di nuove piattaforme petrolifere sarebbero enormi, almeno 7-10 anni con una lunga trafila che va dall’autorizzazione dell’esplorazione agli studi in campo, alla valutazione di impatto ambientale e alla costruzione del pozzo. Non è (solo) un problema di burocrazia, è così più o meno ovunque in Europa. Quindi, anche partendo oggi, avremmo la prima piattaforma funzionante nel 2030, ben oltre i tempi di scadenza del Pnrr (che scadrà nel 2025-2026), in contrasto con i fondi assegnati per questa “Promessa verde” europea e con l’agenda mondiale delle Nazioni Unite che ci impegna a ridurre le emissioni di anidride carbonica (e quindi di idrocarburi e combustibili fossili) del 55% entro il 2030.
* Docente all’Università Politecnica delle Marche e presidente della Stazione zoologica-Istituto nazionale di biologia, ecologia e biotecnologie marine