Adriatico tra moscioli e tropici: il cambiamento ormai è in atto

Adriatico tra moscioli e tropici: il cambiamento ormai è in atto

di Roberto Danovaro
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Giovedì 2 Luglio 2020, 10:35
Siamo sempre più in un clima simile a quello dei tropici. Nel Mediterraneo le estati diventano sempre più calde e instabili. Dal caldo afoso ai temporali flash, dovremo abituarci anche nelle Marche. Questa tendenza, che va avanti ormai da molti anni, come confermano anche gli scienziati delle Nazioni Unite, comporta conseguenze chiare anche a livello dei nostri mari. Qualche mutamento è evidente anche tra gli eventi bizzarri di questa stagione post Covid-19. Abbiamo visto vedersche fuori Portonovo, e numerosi delfini, non solo le stenelle ma anche i tursiopi, che generalmente sono più difficili da incontrare. Sono comparse anche le immancabili meduse, ma per ora niente di pericoloso, si tratta dei polmoni di mare, di grandi dimensioni, bianche con un anello blu. Non sono urticanti, basta non spalmarsele in faccia. Un segnale positivo da registrare è anche per le cozze, a partire dal famoso mosciolo di Portonovo, presidio Slow Food e uno dei segni distintivi delle peculiarità della costa del Conero. Quest’anno sembra esserci stato un reclutamento eccezionale. Gli scogli tra Numana e Sirolo sono pieni di piccole cozze, e quelle adulte sono già particolarmente “grasse”. Effetto di una tarda primavera piovosa che ha portato tanti nutrienti in mare fertilizzandolo e offrendo abbondante cibo per l’ingrasso del nostro mosciolo. Se potessimo paragonarlo alle annate del vino, questa è un’annata da non perdere per assaggiare questo ghiotto frutto di mare, non solo perché buono e con elevatissime proprietà nutrizionali, a partire dagli omega 3 di cui sono particolarmente ricchi, ma anche un cibo sostenibile, la cui raccolta non danneggia l’ecosistema marino. Ma i cambiamenti più temibili sono quelli meno apparenti e richiedono un monitoraggio attento. Ad esempio, la forte fioritura di alghe verdi, come la lattuga di mare, esplosa nelle ultime settimane lungo gran parte delle coste marchigiane, che indica il rischio di fenomeni di eutrofizzazione. Speriamo che sia solo un falso allarme. Stiamo anche assistendo alla progressiva espansione di specie abituate alle acque calde. Tra queste il pesce serra, un grosso pesce predatore che raggiunge taglie e abbondanze notevoli e che è sotto attenzione da parte dei biologi marini del Cnr. Secondo Ernesto Azzurro ricercatore dell’Istituto di Risorse Biologiche Marine del Cnr, sarebbe un indice chiaro dei cambiamenti in atto. Dovuti da un lato alle temperature sempre più elevate e dall’altro alla progressiva scomparsa di grandi predatori in Adriatico. Per queste ragioni questi pesci stanno diventando così abbondanti da allietare le attività di pesca sportiva, ma questo non è un buon segno per l’ambiente. Un’altra specie in espansione lungo le coste marchigiane è il granchio blu. Questo crostaceo, originario dell’Atlantico occidentale e del golfo del Messico, è molto apprezzato per le sue carni e il valore economico. Dagli inizi del secolo scorso, e grazie a ripetute introduzioni attraverso le acque di zavorra delle navi, il granchio blu ha invaso le coste di molti paesi, dal Baltico al Mar Nero e oggi è sempre più comune anche da noi. Un fatto è certo: le Marche, come tutti i mari italiani, sono in una fase di profondi cambiamenti, non solo per la colonizzazione da parte di specie aliene, che non erano mai state avvistate prima, ma anche per effetto dei cambiamenti climatici. Niente di pericoloso per i turisti che potranno godere di un mare sempre più simile ai tropici, ma non è un buon segnale per i nostri mari e dobbiamo intervenire. In Natura le migliori risposte sono quelle che l’ecosistema trova recuperando i suoi equilibri messi sempre più in discussione dagli impatti dell’Uomo. Il piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici del Ministero dell’Ambiente ha sviluppato una serie di azioni guida che indicano la strada da seguire. Tre gli interventi principali da attuare: in primo luogo dobbiamo diminuire gli impatti della pesca sempre più aggressiva e insostenibile, in secondo luogo dobbiamo ridurre l’inquinamento determinato anche da impianti di depurazione insufficienti o inefficienti. Il terzo punto essenziale è la protezione delle nostre coste più ricche di biodiversità, come quelle del Conero, per far sì che le specie e gli habitat in sofferenza abbiano dei “serbatoi” naturali dai quali ripartire e rigenerarsi appena ci sono le condizioni. Inutile ripetere che abbiamo a portata di mano l’istituzione dell’Area Marina Protetta del Conero, che il Ministero dell’Ambiente sarebbe felice di finanziare se solo avesse risposta da parte del Comune di Ancona. 

*Docente all’Università Politecnica delle Marche e presidente della Stazione zoologica-Istituto nazionale di biologia, ecologia e biotecnologie marine
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