Restituire ai territori feriti la loro identità di luogo

Restituire ai territori feriti la loro identità di luogo

di Rossano Buccioni
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Martedì 27 Settembre 2022, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 29 Settembre, 14:56

Alla luce della recente alluvione nelle Marche, le pur evidenti inadempienze della pubblica amministrazione nel governo del territorio assumono un valore di relitto storico, di fossile decisionale e le pratiche politiche a contorno della costruzione del consenso un inutile gravame che enfatizza cronici ritardi nella lettura delle esigenze di governo di un territorio. Oggi si parla molto di crisi, concetto al centro dell’attenzione per molteplici fenomeni sociali in atto. I mass media in particolare costruiscono continuamente una molteplicità di discorsi sulla crisi, alimentando un immaginario sociale che incide nella vita quotidiana degli individui, non solo sul piano delle aspettative future, ma soprattutto su quello delle scelte da effettuare nel presente. Le questioni della precarietà e dell’emergenza nei rapporti tra uomo ed ambiente affondano le loro radici nel paradigma della crisi che sancisce un sostanziale distanziamento nell’interplay sistemico, cioè la difficoltà per un sistema sociale specializzato di leggere la realtà di un altro sottosistema.

I costi di questa reciproca intrasparenza tra parti del sistema sociale globale si scaricano sull’ambiente naturale in modo talmente compatto ed irreversibile da determinare una crisi ambientale come contrappunto scoraggiante del forte incremento della complessità sociale. I fenomeni atmosferici out of control che distruggono interi territori, gettano una luce sinistra sulla stessa espressione “governo del territorio”, comparsa nel testo costituzionale solo con la legge n. 3 del 2001, anche se, nei fatti, esprime una serie di preoccupazioni presenti nell’ordinamento in epoca molto anteriore. Le leggi sul territorio hanno seguito un trend caratterizzato da un certo fermento, tipico dell’attuale quadro legislativo e normativo. Nella letteratura specialistica territorio e ambiente sono connotati in modo specifico, con il primo termine che esprime un significato prevalentemente spaziale e come tale risulta punto di riferimento delle logiche e delle pratiche della pianificazione. Il termine “ambiente” ha invece significati certamente biologici, ma anche sociali e storico-culturali, riferendosi alla gran parte delle attività umane.

Il quadro teorico da cui muove il legislatore in tema di ambiente e territorio appare debitore di visioni ideologizzate, indugianti sul presupposto di una governabilità certa di scenari complessi. La tragica alluvione nelle Marche sembra invece attestare una palese ingovernabilità, frutto di ritardi pregressi sommati alla difficoltà di predisporre piani operativi per fenomeni estremi il cui susseguirsi segue una linea di demarcazione più simbolica che empirica. La stessa notificazione dei disastri si ispira a modelli praticati dalla filmografia di matrice catastrofista, dentro uno sdoppiamento che non aiuta a costruire socialmente l’emergenza in atto, vissuta quasi con la rassegnazione millenaristica tipica del passaggio alla matrice post-human dell’esistenza individuale.

Le normative sull’ambiente hanno configurato pienamente il paradigma partecipativo con le strategie di governo centrate sul fondamento di un procedimento consultorio volto a coinvolgere il pubblico (l’insieme delle persone fisiche o giuridiche, associazioni, organizzazioni, ecc.) e le autorità preposte. La novità degli ultimi decenni riguarda la crescita della produzione legislativa regionale in materia ambientale, con provvedimenti, leggi e regolamenti varati dalle Regioni su questioni come inquinamento elettromagnetico, bonifica dei siti inquinati, difesa del suolo, ecc., ovviamente del tutto inadeguati a connotare la necessità di coordinare ed affrontare istantaneamente criticità emergenti nel loro drammatico scatenarsi. Delle vasche di decantazione mai realizzate, del fango gettato sulla cattedrale burocratica di Ancona, delle cabarettistiche promesse dei Pinocchio nostrani, dirà compiutamente la stampa. Qui sottolineiamo come le emergenze ambientali dimostrino un limite nella rappresentazione dei nuovi rapporti tra uomo ed ambiente: noi non stiamo vedendo che non vediamo.

Le Marche sono purtroppo teatro privilegiato di questa crisi – luogo elettivo di questa macchia cieca inter-istituzionale - prima con il terremoto e poi con ripetuti casi di dissesto idrogeologico che continuano a provocare morte e devastazione mentre la politica si inebria di conviviali e adunate elettorali. E’ l’ambiente che esprime la somma emergente di tutte le criticità politico-sociali, lo sgoverno irridente, l’inadempiere criminale, la diffrazione cinica della decisione, il riciclaggio opportunistico della non-competenza, il gattopardismo tragicomico e l’ebrezza del mascalzonismo italico. Tutto questo amalgamato dal tramestio mediatico che attiva l’affermazione del principio in base al quale se ne deve parlare per non cambiare nulla. Tutti in Italia sanno delle poche riforme-cardine di cui necessitiamo e non c’era bisogno di nuove elezioni per porvi mano: ad un malato terminale gli si sta riconoscendo il diritto alla prima colazione.

I sussulti della civiltà giuridica nazionale spalleggiano paradossalmente le plumbee ambivalenze del Paese dalle mille morali che, incensando i morti, celebra tacitamente il proprio occhiuto immobilismo, in una Regione – le Marche - dove la chiave antropologica dello stesso potere mezzadrile era la maniacale cura della terra, il devoto presidio del territorio. Quella stessa terra offesa e degradata ora uccide brutalmente, con l’emergenza che ne altera la bellezza e l’abbandono che ne oltraggia la storia. Il territorio deve uscire dal novero dei fattori produttivi per reclamare la sua antica dignità ed identità di luogo. Spetta a noi il compito formidabile di restituirgliela.

* Sociologo della devianza e del mutamento sociale

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